:: INTERVISTA    
 

 

 

C’ERA UNA VOLTA L’ANDREA DORIA, IL RICORDO DI EUGENIO GIANNINI
Intervista di Carla Toaldo

Eugenio Giannini, viareggino di nascita ma residente da molti anni a Padova, novanta e più anni portati in forma smagliante, ci ricorda i drammatici momenti da lui vissuti da ufficiale di bordo quando, sul volgere del 15 luglio 1956, l’Ammiraglia della compagnia di bandiera italiana, venne speronata dalla nave svedese Stockholm, provocando la morte di quarantasei passeggeri. Da allora sono passati tanti e tanti anni ma quel ricordo gli è vivo più che mai. 

Doverne ancora riparlare, non è certo facile, ma a quel ricordo penso le batta ancora il cuore. Ci racconti come andò, ben sapendo che lei l’ha già fatto in tante importanti trasmissioni televisive nazionali

E’ vero, sono trascorsi già sessantacinque anni e davanti ai miei occhi scorrono ancora le immagini di quella notte; come potrei mai dimenticare gli angosciosi pensieri che mi presero negli istanti che precedettero quella ormai inevitabile collisione? Ah, quella nave bianca che in un alone di fitta nebbia ci stava minacciosamente venendo addosso senza emettere nessun segnale di avviso o di avvistamento e che, di lì a poco, avrebbe inferto un colpo mortale alla nostra nave. Mi vengono ancora i brividi al sol pensarci anche oggi, ma quel fatto l’ho talmente interiorizzato tanto essere diventato parte indissolubile con me stesso. 

Tremenda fu quella collisione, ma lei dove si trovava al momento del fatale impatto? 

Mi trovavo sul ponte di comando assieme al mai dimenticato mio comandante, il capitano Piero Calamai e rammento tutti i miei pensieri di quei pochi secondi che precedettero l’improvvida aggressione, certo non dolosamente premeditata, ma sicuramente colposa ai nostri danni. L’angoscia fu grande per la disperata consapevolezza di quello che stava per accadere e che, nello spazio di pochissimo tempo, molte persone che stavano serenamente dormendo nelle loro cabine sarebbero morte, altre inghiottite dall’oceano. 

Ci parli delle azioni emergenziali compiute da voi in sala comando e dagli altri membri dell’equipaggio in quel drammatico frangente 

Ricordo il coraggio e la fermezza del capitano Calamai, un uomo di rare capacità marinare che dette ordini sicuri e perentori. 

Ci può spiegare come furono impiegati i mezzi di salvataggio di bordo e se furono sufficienti? 

Tutte le persone sopravvissute dopo l’impatto, furono salvate in buona parte, direi un’ottantina per cento, dalle nostre lance, nonostante in nostro soccorso fossero arrivate, dietro il nostro S.O.S., molte navi che transitavano nelle vicinanze. Ma il destino dei quarantasei passeggeri che vi morirono era compiuto e la nave, colpita a morte dopo undici ore di agonia dal fatale impatto, s’inabissò tristemente. Ci tengo ancora a dare pubblica evidenza che se il Doria non fosse stata quella solida e ben costruita nave che tutti conoscevano, sarebbe sparita in un lasso di pochissimo tempo dopo l’urto e non dopo quelle ben undici ore di dolore, di paura e di morte.
Questo salvataggio è stata riconosciuto come la più grande azione in epoca di pace nella storia della marineria di tutti i tempi. 

Viene spontanea la domanda, o meglio l’accostamento all’altra tragica vicenda, quella accaduta non molto tempo fa nelle nostre acque vicino all’Isola del Giglio. Qual è il suo giudizio su quest’altro tragico evento di mare? 

Dopo aver ascoltato le dichiarazioni di quel comandante, m’indignai non poco, pensando alla macroscopica differenza tra questi e il comandante Calamai. Dovrei fermarmi qui, perché, come a tutti del resto noto, la Giustizia ha già emesso il suo verdetto, peraltro inappellabile. Ma mi corre l’obbligo e soprattutto il dovere di dire che Calamai era un autentico comandante, e poi non secondariamente, una persona educata e l’educazione esclude l’arroganza che purtroppo spesso si apparenta con chi ha responsabilità di comando. Non aveva, Calamai, bisogno di alzare la voce per affermare il suo ruolo ed oggi, quando assisto sempre con scarsa voglia, non certo per l’età, ma per il disgusto che mi provoca, ai dibattiti televisivi che si concludono in duelli rusticani, espressioni muscolari ed altro di disdicevole, capisco che il mondo è davvero cambiato e che non esistono più i veri uomini di un tempo. C’era stato chi aveva etichettato Calamai come persona schiva, ma un comandante non deve essere un intrattenitore perché altri sono i suoi precisi compiti e le precipue sue funzioni. 

Abbiamo sentito per anni parlare di un tesoro inghiottito dall’oceano assieme all’Andrea Doria. Cosa c’è di vero in questo, chiamiamolo, giallo? 

Sorrido e basta. Pensi soltanto che si era parlato di una cifra vicina ai quattro miliardi di lire, ma ciò, ed è agli atti processuali successivi, è destituito di ogni fondamento e glielo spiego subito. Alle 18 e trenta del giorno antecedente allo sbarco, tutti gli effetti personali (denaro, gioielli e quant’altro era custodito nella cassaforte della nave) erano stati restituiti ai rispettivi proprietari. Potevano normalmente rimanere depositati una quarantina di milioni e cioè la normale giacenza in dotazione alla nave per le eventuali spese da sostenere nel porto di approdo. Anni fa, forse lei oggi non lo ricorda, ci fu un team della Rai coordinato dal giornalista Mino Damato, che s’imbarcò in un’avventura per una ricerca per me priva di alcun senso, ma che ebbe soltanto un grande effetto mediatico. Pare che abbiano trovato banconote corrose dall’acqua e per di più fuori corso. Sarebbe bastata, infatti, una semplice telefonata al sottoscritto per dissuaderli, così avrebbero sicuramente risparmiato un bel gruzzolo di denaro. 

Nel concludere , ho letto che ci furono delle cause promosse per l’accertamento delle responsabilità derivanti da quella tragedia? 

E’ stato accertato e provato al di là di ogni ragionevole dubbio che la responsabilità fu del giovane ed inesperto terzo ufficiale della Stockholm, lasciato solo e soletto in plancia di comando. Sorvolo suoi dettagli tecnici in verità molto complessi; la causa fu celebrata davanti la Corte di New York e si concluse con una transazione extra-giudiziale soltanto perché la Società Italia di Navigazione, proprietaria del Doria, era a propria volta posseduta dall’Ansaldo che aveva ricevuto la commessa di costruire due navi proprio dalla compagnia di proprietà dello Stockholm medesimo. Così anch’io imparai presto cos’è la real politik. 

Di lì a dopo, cosa successe? 

Conclusasi la vertenza legale a New York, le responsabilità del disastro vennero attribuite al personale delle due navi coinvolte. Ma di questo ne parlo con maggiore dovizia di particolari nel mio libro “L’ultima scialuppa” edito da Mursia di Milano e al quale mi permetto cortesemente rimandare chi ci legge. Un ultimo doveroso pensiero al comandante Piero Calamai, al quale ingiustamente non venne mai più assegnato il comando di alcuna nave sino alla sua messa in quiescenza. Mi ribolle ancora il sangue al pensiero di come fu mortificato il povero Calamai, maestro di marineria e di vita, che dovette subire, nell’attesa poi vana di un nuovo comando, di rifarsi le nuove uniformi che rimasero per sempre chiuse da un involucro di cellophane all’interno dell’armadio di casa sua. Così va il mondo. Purtroppo! 

 

Edizione nr. 79, aprile 2021