:: ARCHITETTURA |
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GIUSEPPE TERRAGNI: UN ARCHITETTO TUTTO D’UN FASCIO
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![]() ![]() La sensibilità intimamente classicista, unita ad una vivace propensione per il moderno, affiorarono in modo evidente già nella Casa del Fascio, progettata come sede del partito fascista di Como, tra il 1932 e il 1936. Il severo e lineare disegno della facciata è il risultato dei vivaci contrasti tra gli esili piani e i larghi vuoti. In questo modo l’architetto crea un’iconografia che poco ha a che fare con l’oggettività tecnologica di tanta architettura degli anni venti: la sottile rete di stratificazioni spaziali di questo telaio, infatti, ricorda molto più un astratto mondo latino. Eppure, questa facciata classica fu pen
![]() ![]() Alla metà degli anni Trenta l’architetto lombardo possedeva già un consistente e personale linguaggio architettonico, in cui delicati telai rettangolari creavano frontespizi giustapposti alle strutture interne, che si configuravano come corsie di setti paralleli e trasparenti. La famosa Casa Rustici di Milano, costruita nel 1936, è una splendida variazione di questo tema: il telaio è formato da sottili terrazze orizzontali in calcestruzzo che collegano i due blocchi separati di cui è composto l’edificio.
Del 1936 è anche l’Asilo Sant’Elia, una scuola materna costruita a Como. In questo progetto le partizioni vetrate furono poste molto più internamente rispetto alla griglia strutturale delle colonne, creando davanti ad ogni aula una terrazza coperta da fantasiose tende avvolgibili, mentre la sala principale e i corridoi diventarono spazi esterni coperti. Le solette in estensione e i piani “scorrevoli” furono impiegati da Terragni per ripensare il tipo tradizionale del portico e patio con logge tutt’intorno (come già era stato fatto da Le Corbusier nel celebre convento La Tourette). L’architetto continuava dunque a combinare tipi tradizionali con suggestioni moderne, invertendo i rapporti tra pieno e vuoto, carico e supporto, massa e trasparenza, introducendo spostamenti, asimmetrie e rotazioni: operazione splendidamente riuscita nell’Asilo Sant’Elia.
Terragni rivelò le infinite applicazioni e l’efficacia del suo sistema nei progetti per importanti edifici pubblici alla metà degli anni Trenta. Tra questi, la proposta sviluppata e presentata, come capo di un team di architetti, al concorso per il Palazzo Littorio, indetto a Roma nel 1934, fu sicuramente la principale. L’edificio doveva combinare le funzioni di quartier generale fascista e memoriale della civiltà italiana. Il sito scelto era adiacente alla Basilica di Massenzio e Costantino, con vista laterale sul Colosseo: insomma, un inno alla romanità. Terragni ideò una facciata curva, lunga più di ottanta metri, rivestita di lucido porfido nero e aperta in alto su una tribuna, dalla quale Mussolini si sarebbe affacciato alla folla sottostante come un dio oscuro stagliato contro il cielo. La superficie della facciata, in parte incisa da linee di tensione isostatiche recuperate dai diagrammi di sollecitazione (alla maniera di Nervi), doveva smaterializzarsi grazie alla riflessione della luce. Tutti questi espedienti erano stati utilizzati per unire all’iconografia della scienza moderna una metafora vagamente geologica dell’impero in espansione. Sembra che Terragni avesse visto nel programma fascista l’occasione perfetta per ritornare ai fondamenti della civiltà mediterranea, rivalutando molte delle idee generatrici del classicismo. Per lui la poetica e la politica furono inseparabili. Un altro progetto mai realizzato, ideato in collaborazione con Pietro Lingeri e Cesare Cattaneo, fu quello
![]() ![]() Nei tardi anni Trenta il carattere sempre più onirico del suo immaginario sfociò in un curioso progetto, che non fu mai realizzato, per un monumento a Dante. Questo edificio doveva sorgere nel Foro Romano per divenire un emblema della continuità culturale italiana e dell’unità del nuovo impero con quelli precedenti. Il Danteum fu commissionato nel 1938 da Rino Valdameri, direttore di Brera a Milano, e una prima versione fu approvata dallo steso Mussolini. Ma sia il mecenate che l’architetto morirono durante la guerra. L’edificio avrebbe dovuto svilupparsi attorno ad una strada in salita dal carattere processionale, collegando tra loro ambienti rettangolari con modalità e articolazioni differenti, che rappresentavano l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso; quest’ultimo era uno spazio a cielo aperto con una fitta rete di colonne in vetro. Le geometrie formali di base erano rettangoli e cilindri, disposti in un rapporto proporzionale basato sulla sezione aurea e sulle dimensioni della vicina Basilica di Massenzio. Il progetto fondeva, in modo delicato e sublime, alcune suggestioni derivate dai templi orientali con il linguaggio dell’architettura moderna, con l’astrazione della pittura contemporanea e con le forme solide dei vicini edifici romani. Il Da
![]() L’ultimo progetto di Terragni, una palazzina di quattro piani detta casa Giuliani-Frigerio, fu costruita a Como nel 1940. Come nella Casa del Fascio, l’architetto alterò l’orientamento del prisma mediante una facciata principale giustapposta a quella secondaria.
I pregiudizi della critica tradizionalista, secondo cui l’architettura moderna avrebbe esclusivamente interpretato le ideologie politiche liberali, possono dunque essere sfatati. Dopo aver investigato le origini dell’architettura, Terragni riuscì a fondere lo spazio delle strutture moderne con gli schemi della rappresentazione classica, presentando al mondo un’estetica indiscutibilmente moderna anche se profondamente legata al passato e, soprattutto, al servizio del fascismo. Il giovane architetto morì a Como nel 1943, poco meno che quarantenne, a causa di una trombosi cerebrale. Si dice che, dopo aver visto fallire rovinosamente i suoi ideali insieme al mito fascista, sia stato schiacciato da un crollo psicologico, che lo travolse annientandolo.
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Uscita nr. 77 del 20/02/2017 |