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  STORIA ED EVOLUZIONE DEL CLIMA TERRESTRE
Anna Valerio
     
 

Convegno:

 STORIA ED EVOLUZIONE DEL CLIMA TERRESTRE

 Mercoledì 28 ottobre 2015

 Auditorium San Gaetano

Via Altinate, 71

Padova

Il convegno si propone di offrire ai cittadini informazioni e spunti di riflessione sull’evoluzione del clima nella storia della Terra, con qualche particolare riferimento all’area mediterranea, e sui suoi collegamenti con la storia e le vicende dei popoli interessati. Il nostro pianeta è sempre stato, fin dalle sue origini, in continuo cambiamento a causa di una miriade di fenomeni che hanno interagito tra loro: la composizione dell’atmosfera e l’assetto dei suoli e delle acque hanno subito notevoli variazioni, il clima ha visto alternarsi periodi caldi e freddi, i fenomeni vulcanici hanno talvolta determinato bruschi mutamenti. In generale si può dire che tutti questi fenomeni sono stati regolati prevalentemente dal sistema solare, con i suoi mutamenti e le sue oscillazioni.
In mezzo a tutti questi eventi l’umanità, dapprima presente con pochi individui e recentemente sviluppatasi in modo esponenziale, ha subito vicende molto varie, legate anche alle variazioni climatiche, cosa spesso trascurata dagli storici. I cambiamenti del clima hanno provocato importanti conseguenze sull’abitabilità delle terre, sulla distribuzione delle popolazioni nelle diverse aree geografiche, sulle guerre, sull’andamento delle colture, sui periodi di carestia o di abbondanza di cibo, sullo sviluppo delle diverse civiltà. Nell’antichità la nostra specie ha avuto spesso problemi di sopravvivenza, mentre oggi il problema è inverso: la sovrappopolazione, resa possibile dallo sfruttamento intensivo di risorse energetiche e materiali, comporta importanti conseguenze sia sotto il profilo della disponibilità di risorse, sia sotto l’aspetto ambientale.
La nascita della coscienza ambientale è cosa recente ed è stata provocata dalle conseguenze di un uso eccessivamente intenso delle risorse. Oggi gli studiosi e l’opinione pubblica sono abbastanza concordi nell’affermare che è necessario attuare politiche più conservative rispetto al passato, sfruttando con parsimonia le risorse, ottimizzando i sistemi energetici, riducendo gli sprechi e ponendo attenzione alla limitazione dell’impatto ambientale causato dalle nostre attività. In definitiva, ciò significa limitare l’inquinamento ambientale.
Ma fino a che punto queste nostre attività incidono sugli eventi climatici? E’ molto difficile dare risposte quantitative a questo quesito, perché i fenomeni climatici sono di enorme complessità. L’uomo è sempre stato attratto dai mutamenti del clima e in ogni epoca ha cercato di individuare le cause di questi fenomeni. I nostri progenitori, non sapendo darsi altre spiegazioni, tendevano ad attribuire le variazioni meteorologiche ai capricci degli dei. Ma in alcune antiche civiltà gli uomini, osservando attentamente queste variazioni, intuirono che all’origine di questi cambiamenti c’erano fenomeni naturali di cui non riuscivano a fornire spiegazioni.
Nella società contemporanea la scienza e la tecnologia interagiscono vicendevolmente per dare spiegazioni razionali a questi fenomeni; molte ricerche si prefiggono lo scopo di studiare l’influenza dei diversi parametri che sembrano essere correlati con le variazioni climatiche. La possibilità di comprendere questi legami e di effettuare previsioni meteorologiche locali o di prevedere le tendenze a lungo termine del clima sono importanti obiettivi di questi studi. Comprendere a fondo i meccanismi che regolano il clima è una sfida molto impegnativa, perché le interazioni di un grande numero di parametri sono difficilmente esprimibili mediante sistemi di equazioni matematiche. Inoltre i valori e le tendenze di questi parametri nel passato, che dovrebbero costituire i dati di partenza, non sono ben noti, perché soltanto recentemente le tecniche di rilevazione delle corrispondenti grandezze fisiche, combinate con dati di tipo indiretto (i cosiddetti dati “proxy”), hanno incominciato a fornire risultati attendibili.
Queste difficoltà suggeriscono di muoversi con cautela: gli scienziati sono continuamente tesi all’approfondimento delle loro conoscenze e i risultati delle ricerche migliorano gradualmente, passo dopo passo. Ma quando irrompono sulla scena i politici, le cose si complicano: i politici, generalmente, non sono guidati dal desiderio di conoscere, ma da interessi politici o da ideologie. Le loro decisioni sono orientate verso un tipico loro obiettivo: conseguire risultati a breve termine per ottenere consenso, semplificando i problemi e forzando le soluzioni. Ciò li induce a rappresentare la realtà in modo non corretto, deformandola o tacendone alcuni aspetti; e li induce anche a finanziare in modo privilegiato le linee di ricerca che risultano coerenti con il loro pensiero e i loro obiettivi.

A proposito del clima, la corrente di pensiero attualmente maggioritaria attribuisce alle attività umane, e soprattutto alle emissioni di gas serra (prevalentemente CO2), l’andamento del clima stesso nell’epoca contemporanea. I sostenitori di questa tesi non ammettono discussioni su questo punto e tendono a considerare con sufficienza o addirittura a demonizzare coloro che, con buoni argomenti scientifici, sostengono che il contributo della natura, la quale è stata il motore dei fenomeni climatici in tutta la storia del pianeta, non può essere diventato irrilevante nel giro di pochi decenni. L’inquinamento della biosfera e il clima sono due problemi diversi, anche se in certo modo correlati: tutti concordano sul fatto che il clima sia in continuo cambiamento e che si debba limitare l’inquinamento ambientale e preservare le risorse, ma ciò non comporta pretendere di poter influenzare il clima con provvedimenti politici, prevedendone addirittura i risultati in modo quantitativo.
Ancora una volta, la scienza dovrebbe essere cauta di fronte a problemi di tale complessità. Il dubbio dovrebbe essere l’atteggiamento tipico dell’uomo di scienza, perché egli è consapevole che la conoscenza è in continuo divenire. Invece gli scienziati non allineati sono spesso privati dei fondi per la ricerca dalle lobby “politicamente corrette”. Bisogna rendersi conto che allo stato attuale delle ricerche le conoscenze sul clima hanno ancora un notevole grado di incertezza, anche per la carenza di dati sulle vicende passate. Queste incertezze dovrebbero non soltanto suggerire cautela nell’esprimere pareri, ma anche spingere a proseguire le ricerche, con l’obiettivo di giungere a migliori conoscenze sugli eventi del passato, cosa che costituisce un presupposto indispensabile per interpretare il presente e giungere alla formulazione di previsioni per il futuro.
Le ricerche sul clima coinvolgono settori scientifici diversi e sono quindi tipicamente interdisciplinari. Per questo nel presente convegno sono stati invitati relatori molto qualificati appartenenti a settori di ricerca diversi. Essi forniranno un quadro delle attuali conoscenze e delle relative incertezze e metteranno in luce come l’interazione e il dialogo tra competenze scientifiche diverse possa dare un contributo significativo alla conoscenza, che costituisce il motore del progresso scientifico ed umano.

Padova, Luglio 2015

Prof. Ing. Alberto Mirandola
Chairman del convegno

 

 

Convegno

STORIA ED EVOLUZIONE DEL CLIMA TERRESTRE

Sintesi degli interventi dei diversi relatori

 

 Chiara Bertolin

 

Cause naturali del cambiamento climatico a livello globale

Verranno presentate le forzanti naturali del clima ed i Meccanismi di Feedback positivi e negativi. La conoscenza di tali componenti climatiche, delle modalità di evoluzione del sistema date da dinamiche interne e cambi in fattori esterni, le modalità di interazione tra i processi e le loro “influenze a cascata”, sono concetti introduttivi essenziali per comprendere il sistema climatico stesso e per capire come questo venga oggi simulato nei modelli.

Nicola Scafetta

Influenze astronomiche e oscillazioni naturali del clima terrestre

Il clima della terra è complesso. Molti sono i fattori sia naturali che antropici che possono indurre cambiamenti climatici. I cambiamenti climatici sono studiati usando principalmente ricostruzioni locali e globali della temperatura meteorologica. I record usati sono disponibili sin dal 1850 e hanno una sufficiente copertura mondiale. Tutte le ricostruzioni della temperatura superficiale della Terra mostrano un riscaldamento dal 1850 al 2015 di circa 0.8-0.9 oC. Usando modelli climatici di circolazione generale (CMIP5 GCM) l'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC AR5, 2014) ha ritenuto che la quasi totalità del riscaldamento osservato sia stata causata da emissioni umane mentre, sempre su una scala secolare, il sole ed i vulcani avrebbero avuto un contributo trascurabile e di segno opposto. L’IPCC ha stimato che ulteriori emissioni umane durante il XXI secolo potrebbero causare un innalzamento della temperature fino a 4.0 °C; il che potrebbe avere numerose e generalizzate conseguenze negative per l'umanità. Questa è nota come la teoria del riscaldamento antropico.

Tuttavia, questa interpretazione dei cambiamenti climatici è ambigua, e sembra contraddetta da numerose analisi dettagliate dei dati climatici sia a livello globale che locale. L'analisi spettrale dei record climatici rivela l'esistenza di periodicità principali di circa 9.1, 10-11, 19-22 e 59-62 anni che non sono riprodotte dai modelli climatici. Anche cicli millenari osservati nelle ricostruzioni paleoclimatiche durante gli ultimi 10.000 anni, periodo noto come l’Olocene, non sono riprodotti dai modelli. In particolare, dal 2000-2015 la temperature globale è stata piuttosto stazionaria mentre i GCM hanno "predetto" un tasso di riscaldamento di circa 2 °C al secolo. L'ipotesi che il clima sia regolato da specifiche oscillazioni naturali spiega molto bene gli andamenti climatici osservati. Ad esempio, un ciclo naturale di quasi 60 anni spiega bene il riscaldamento osservato durante i periodi del 1850-1880, 1910-1940 e 1970-2000, e i periodi di raffreddamento durante il 1880-1910 e 1940-1970 e la temperatura stazionaria sin dal 2000. Lo stesso ciclo è stato osservato in numerosi record paleoclimatici. L’analisi delle oscillazioni naturali osservate nei cambiamenti climatici globali suggerisce che almeno il 50% del riscaldamento della Terra osservato sin dal 1850 è stato indotto da esse.

Mostrerò che molte di queste oscillazioni naturali del clima sono correlate ad oscillazioni solari, lunari e planetarie. Questo risultato è molto importante perché suggerisce una origine astronomica delle oscillazioni climatiche che è tuttora poco capita e del tutto ignorata dai promotori della teoria del riscaldamento antropico. La presenza di oscillazioni naturali permette lo sviluppo di modelli fenomenologici con una elevata probabilità predittiva. Alcuni di questi modelli empirici sono stati proposti e hanno superato alcuni test di verifica. Per il futuro questi modelli indicano una probabile stabilizzazione della temperatura globale della Terra fino al 2030-40 con possibili massime nel 2015 e 2020. Secondo gli stessi scenari di emissione antropiche usate dall’IPCC, il riscaldamento climatico tra il 2000 al 2100 dovrebbe essere di circa 0.3-1,8 °C invece della stima dell'IPCC di circa 1.0-4.0 °C. Cioè, tra il 2000 e il 2100 la temperatura superficiale globale potrebbe salire di circa 1 oC. Questo cambiamento climatico potrebbe essere sfavorevole in alcune località ma piuttosto favorevole in molte altre. Quindi, questo fenomeno andrebbe studiato con grande attenzione.

 

Dario Camuffo

Il clima dell’ultimo millennio: metodi, certezze e incertezze

La nostra conoscenza del clima si basa su osservazioni oggettive dirette e indirette. Le osservazioni sono alla base di ogni ipotesi: dei meccanismi e delle relazioni tra le cause forzanti e gli effetti che regolano le vicende del clima; delle equazioni che ne descrivono l’evoluzione; dello sviluppo, della taratura e della verifica dei modelli di simulazione numerica che hanno lo scopo di chiarire e sviluppare interpretazioni e previsioni a seconda dei parametri scelti o delle supposizioni che possono venire avanzate.
Le osservazioni dirette sono di tipo strumentale, e le prime in assoluto risalgono alla Rete del Granduca di Toscana, a partire dal 1654. Tuttavia, dalle origini al 1860 i dati sono generalmente scarsi e con varie interruzioni.  Nel corso dei secoli si sono via via sviluppati la conoscenza della meteorologia, la costruzione degli strumenti tradizionali o le misure da satellite, i protocolli e le modalità di osservazione. In genere questo ha portato a grandi progressi; talvolta anche a regressi più o meno temporanei nella qualità. Queste vicende hanno introdotto forti discontinuità nella risposta strumentale, nell’esposizione o negli schermi applicati agli strumenti, nell’effettuare la lettura e la media delle osservazioni, cambiando punto di misura, livello rispetto al suolo, o alterando le caratteristiche fisiche dell’ambiente attorno alla stazione meteo. Il problema non va riferito solo alle prime osservazioni pionieristiche, ma anche a tempi relativamente moderni, quando lo sviluppo della tecnologia o il cambiamento di protocolli per le osservazioni ha introdotto deviazioni anche consistenti ai valori medi delle variabili osservate, con effetto simultaneo su tutte le stazioni. Per fare un solo esempio, la capannina standard bianca a gelosie in legno usata per riparare i termometri dalla radiazione solare diretta può causare un surriscaldamento di +1.5°C di giorno e un raffreddamento di -0.5°C di notte, e durante i temporali estivi può abbassare la temperatura di vari gradi sino a raggiungere il livello di bulbo bagnato.
Vi sono vari tipi di osservazioni indirette, chiamate “proxy” (che significa “dati per procura”) e si basano su vari indicatori, tra cui si ricordano in particolare le documentazioni scritte (dati d’archivio con descrizione di fenomeni e del loro impatto, cronache, diari ecc), particolari rappresentazioni pittoriche eseguite con la “camera oscura” (Veronese, Canaletto, Bellotto), gli anelli di crescita degli alberi (dendrocronologia), il ritiro dei ghiacciai, il livello di corpi d’acqua, ecc. Questi dati qualitativi vengono trasformati in indici numerici e, grazie a periodi con simultanea presenza di osservazioni strumentali e osservazioni proxy, è possibile tarare la scala e attribuire un valore quantitativo a dei dati che inizialmente ne avevano uno qualitativo soltanto. Tuttavia, anche i proxy sono affetti da limiti e incertezze. Ad esempio i dati documentari scritti e la dendrocronologia sono molto utili a decifrare le fluttuazioni e la variabilità sul breve periodo, ma non i trend. Altri hanno invece caratteristiche opposte.
In pratica, il problema non è solo raccogliere i dati, ma effettuarne un’accurata correzione, omogeneizzazione e validazione per darne un’interpretazione corretta che sarà però affetta da certi limiti di incertezza che vanno chiaramente definiti e indicati. In mancanza di questo si rischia di interpretare come segnale climatico quanto è semplicemente un errore strumentale o un cambiamento nelle modalità operative o nell’ambiente. In pratica, le osservazioni dirette e indirette ci danno alcune certezze, che verranno discusse, tra cui anche quella che dobbiamo tenere ben presente dei forti limiti di incertezza, a volte superiore a quanto venga generalmente creduto dai non specialisti in materia.

 

4. Vincenzo Artale

Il ruolo degli oceani nella variabilità climatica

Saranno trattati i temi principali che legano l’oceano al clima, mostrando dati dedotti da simulazioni numeriche e da dati osservati in situ.  L'atmosfera e l'oceano sono i principali responsabili del trasporto e della distribuzione del calore sulla terra. Si stima che il trasporto di calore dalle regioni tropicali verso i poli si distribuisca in parti uguali tra l'oceano e l'atmosfera, ma cambia molto la loro capacità di trattenere il calore: l’oceano ha una capacità termica circa mille volte maggiore di quella dell’atmosfera. Solo questo dato può dare l’idea di quanto sia cruciale l’oceano all’interno dell’intero sistema climatico, almeno su scale lunghe (dalle inter-annuali alle secolari e oltre). Per esempio, il calore immagazzinato negli strati superficiali delle zone tropicali è trasportato verso nord attraverso grandi correnti oceaniche (e.g. la Corrente del Golfo), il cui principale effetto è di mitigare il clima dell'Europa Occidentale. La corrente del Golfo, negli ultimi cinquanta anni, ha mostrato una notevole variabilità; parte di questa variabilità si può spiegare con la variabilità dei “gyres” (vortici oceanici) subtropicali e quindi con la variabilità climatica in generale, altri invece con i cambiamenti climatici indotti dall’uomo.
Si presenteranno i risultati scientifici allo stato dell’arte, in cui si mostrerà che eventi catastrofici nella circolazione oceanica con fortissimi impatti sulla variabilità climatica globale possono avvenire indipendentemente da fattori antropici, ossia possono essere considerati come delle instabilità insite al sistema accoppiato oceano-atmosfera. Tuttavia il riscaldamento globale, dovuto per esempio ai gas–serra, può contribuire ad aumentare sia la temperatura superficiale dell'oceano che la piovosità alle alte latitudini ed entrambi i fattori danno un contributo negativo sulla densità superficiale riducendo così il motore della circolazione termoalina, come sembra che stia avvenendo dalle misure sperimentali analizzate negli ultimi cinquanta anni. Dall’ultimo rapporto dell’IPCC si può evincere che raddoppiando il contenuto attuale di CO2, con associato un aumento di temperatura maggiore di due gradi centigradi, la circolazione termoalina si blocca completamente.

 

5. Paola Petrosino

Le eruzioni vulcaniche e il clima: dall'anno senza estate (1816) al riscaldamento degli oceani

Le eruzioni vulcaniche rivestono una notevole importanza per quanto concerne i cambiamenti climatici a varie scale temporali. E' chiaro che riuscire a prevedere quali possano essere gli effetti sul clima di una futura eruzione di uno dei vulcani attivi della terra potrebbe fornire un utile contributo alla scienza e alla società. Inoltre, quando si cerca di stimare il contributo antropico alle variazioni climatiche bisogna avere quanto più precisa contezza di quale sia l'entità delle fluttuazioni naturali nel record climatico, e di queste fluttuazioni naturali fanno sicuramente parte gli effetti indotti dalle eruzioni vulcaniche. Esse iniettano nell'atmosfera biossido di zolfo che si converte rapidamente in solfati e incrementa lo spessore dello strato di aerosol, i cui effetti radiativi e chimici sono in grado di produrre una risposta da parte del sistema clima. Rispetto a quello delle particelle di cenere sottile che pure l'eruzione vulcanica esplosiva disperde  nell'atmosfera in elevata quantità, il ruolo degli aerosol nel condizionare il clima è sicuramente prominente. Infatti i tempi con cui  le particelle solide (cenere vulcanica) raggiungono il suolo sono troppo rapidi  per far sì che esse esercitino una decisa influenza sul clima.   E' per questo motivo che vulcanologi e climatologi difficilmente trovano un accordo sull'entità degli effetti di un'eruzione: tra le eruzioni che si sono verificate nell'ultimo secolo, quella del 1980 al St. Helens negli USA è stata sicuramente una delle più intense, e ad essa è stato assegnato un VEI (Volcanic Explosivity Index) pari a 5. I fenomeni esplosivi connessi al lateral blast che la caratterizzarono furono sicuramente ingenti, ma essa consistette in un'esplosione laterale che coinvolse in prevalenza massa solida, e minimi furono i quantitativi di zolfo che iniettò nell'atmosfera: il clima locale ne risultò fortemente influenzato per qualche giorno, ma nulli furono i suoi effetti su scala globale.  Altre eruzioni, anche a carattere effusivo, come quella verificatesi al Laki in Islanda a cavallo tra il 1783 e il 1784, non hanno avuto la stessa violenza, ma sicuramente, in funzione del quantitativo di biossido di zolfo iniettato in atmosfera, hanno ricoperto un ruolo più determinante nel condizionare il clima globale. In questo intervento si richiameranno i principali processi connessi all'attività vulcanica che possono influenzare il clima e si passeranno brevemente in rassegna le eruzioni passate a cui si è riusciti a connettere degli effetti sul clima ad ampia scala areale. Infine saranno presentati i risultati di recenti ricerche che studiano il contributo ai cambiamenti climatici proveniente dall'attività vulcanica dei fondali oceanici, in relazione soprattutto all'aumentato apporto di CO2 . In conclusione si evidenzierà la complessità della relazione causa-effetto che lega l'attività vulcanica e il clima.

 

Ernesto Pedrocchi

Clima globale e fabbisogni energetici

Il miglioramento delle condizioni di benessere dall’inizio della rivoluzione industriale è strettamente legato alla disponibilità di energia sicura, affidabile e a basso costo. Da ormai circa due secoli tale disponibilità si è progressivamente basata sull’uso dei combustibili fossili. Tuttora i combustibili fossili coprono circa il 75% del fabbisogno energetico e non è prevedibile che possano a breve essere facilmente in buona parte sostituiti. L’uso dei combustibili fossili comporta l’immissione in atmosfera di CO2 aggiuntiva rispetto ai flussi naturali e, essendo la CO2 un gas con effetto serra,  è stata imputata di essere responsabile del riscaldamento verificatosi nel XX  secolo, in particolare di quello registrato nella seconda metà del secolo. Tale ipotesi, data spesso per scontata, condiziona pesantemente la politica energetica mondiale, ma lascia in realtà qualche dubbio. I più importanti sono:

  • il legame tra immissioni antropiche di CO2  e variazione della concentrazione della stessa in atmosfera;
  • il legame tra concentrazione di CO2  in atmosfera e clima globale;
  • l’effetto storicamente evidente di altri fattori.

Se anche fosse accertata la responsabilità delle emissioni antropiche di COsul clima globale, la strategia della mitigazione, ora proposta come soluzione principe per contenere il riscaldamento globale, non sarebbe comunque una via facilmente percorribile. Risulta più efficace e più praticabile la strategia dell’adattamento.

 

Franco Ortolani

Evidenze geoambientali di variazioni climatico-ambientali storiche nell’Area Mediterranea.

Le ricerche multidisciplinari sono iniziate nel 1990 e sono state stimolate dalla osservazione delle stratigrafie archeologiche di varie aree dell'Italia meridionale e insulare e del nordafrica che evidenziano drastiche modificazioni ambientali areali avvenute negli ultimi 2500 anni circa, causate da accumulo di ingenti volumi di sedimenti alluvionali ed eolici che hanno modificato ripetutamente la superficie del suolo antropizzata.
I risultati di importanza regionale per l'area mediterranea ci sollecitarono ad organizzare tre seminari internazionali presso il Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali di Ravello (Penisola amalfitana) nel 1994, 1995 e 1996 per raccogliere le varie testimonianze fino ad allora studiate nel Bacino del Mediterraneo.
Le ricerche si basano sulla considerazione che l'area mediterranea, rappresentando la zona di confine tra zona umida e zona desertica, è molto sensibile alle variazioni climatico-ambientali; infatti, spostamenti delle fasce climatiche verso nord o verso sud di pochi gradi di latitudine possono determinare drastici sconvolgimenti della superficie del suolo provocando, ad esempio, desertificazione in aree precedentemente caratterizzate da clima umido, o, viceversa, la trasformazione di zone desertiche in aree umide.
Le ricerche, stimolate dall'osservazione di numerose discontinuità fisiche significative, evidenti in molte sezioni stratigrafiche, sono state effettuate per gettare luce sul significato climatico dei differenti tipi di sedimenti accumulatisi negli ultimi 2500 anni che ricoprono numerosi siti archeologici, non influenzabili dagli interventi umani, di età compresa tra il Periodo Arcaico ed il Medioevo, ubicati a diverse latitudini e in aree geografiche con differenti condizioni morfoclimatiche.
L'Area Mediterranea compresa tra 45° N e 31°N circa di latitudine, caratterizzata da condizioni climatico-ambientali differenti e da continua e diffusa presenza dell'uomo negli ultimi millenni, rappresenta una zona di  importanza strategica per lo studio delle variazioni climatico-ambientali.
Il clima umido con temperatura media inferiore a 18°, precipitazioni piovose abbondanti (da circa 500 a circa 2000 mm) prevalentemente nel periodo autunno-primavera e superficie terrestre generalmente ricoperta da suolo e vegetazione caratterizzano la parte centro-settentrionale anche nelle aree non coltivate. Il clima subdesertico e desertico con temperatura media superiore a 18° con precipitazioni piovose molto scarse (da meno di 100 a circa 250 mm) e superficie priva di suolo e vegetazione caratterizzano in gran parte il margine più meridionale, a sud di 32° di latitudine.
Le aree studiate sono comprese tra la Pianura del fiume Po (circa 45° N di latitudine) e il Nord Africa (Egitto) a circa 30-31° N di latitudine; le sezioni geoarcheologiche più complete e significative sono state studiate nelle pianure alluvionali e nelle dune costiere.
I dati acquisiti evidenziano che le condizioni ambientali sono state simili a quelle instauratesi tra il XIX sec e l’attuale per lunghi periodi (in cui l'uomo controllava l'ambiente fisico) favorendo le attività antropiche e lo sviluppo socioeconomico (es. tra il 350 a.C. e il 100 d.C.) e che sono invece drasticamente peggiorate per brevi intervalli (in cui l'ambiente fisico condizionava l'uomo) determinando alternativamente la desertificazione delle aree costiere dell'Italia meridionale (es. tra il 100 e il 300 d.C. e tra il 1100 e 1300 d.C.) ed il ricoprimento del suolo antropizzato anche con vari metri di sedimenti alluvionali (es. tra il 520-350 a.C., tra il 500-700 d.C., tra il 1500-1700 d.C.). Negli ultimi 3000 anni hanno prevalso le condizioni climatico-ambientali simili alle attuali; a queste si sono intercalati ciclicamente brevi periodi con clima differente; in particolare, si sono alternate fasi freddo-umide e fasi calde (aride nell'Italia meridionale costiera) della durata rispettivamente di circa 150-200 anni.
Com’è noto in letteratura, l'ultimo periodo freddo è chiamato Piccola Età Glaciale (1500-1850). In base ai nuovi dati geoarcheologici si evidenzia che i precedenti periodi freddi sono stati caratterizzati da condizioni climatico-ambientali simili per cui sono stati da noi definiti "Piccola Età Glaciale Alto medievale" (500-750 d.C.) e "Piccola Età Glaciale Arcaica" (520-350 B.C.). I periodi caldi noti sono relativi al Medioevo (1000-1300) e all'età romana (100-300 d.C. circa); essi hanno determinato invece desertificazione lungo le aree costiere del Mediterraneo (fino a circa 41-42°N), con accumulo di notevoli volumi di sabbie eoliche che hanno invaso le zone costiere ricoprendo i suoli antropizzati.
I risultati conseguiti con le ricerche innovative svolte nell'area mediterranea hanno messo in evidenza che l'ambiente è stato modificato ciclicamente, con periodo di circa 1000 anni, con differenti impatti in relazione alle diverse condizioni morfologiche e climatiche; in base alla naturale ciclicità millenaria l'attuale periodo climatico, iniziato intorno al 1750 circa e caratterizzato anche dall’inquinamento atmosferico provocato dall’attività antropica, rappresenta la transizione tra la Piccola Età Glaciale ed il prossimo Periodo caldo del terzo Millennio.
I dati stratigrafico-ambientali geoarcheologici sono correlabili con l'evoluzione dei ghiacciai alpini che costituiscono un valido geotermometro a media latitudine, con l'evoluzione delle pianure costiere e delle spiagge caratterizzate da sabbie silicoclastiche ed organogene e con l'attività solare plurisecolare. Significative relazioni si individuano tra le modificazioni climatico-ambientali plurisecolari cicliche e la storia dell'uomo nell'area circummediterranea.
I dati acquisiti rappresentano una ricostruzione della storia dell'ambiente fisico e dell'uomo e consentono di inquadrare e di comprendere adeguatamente e credibilmente il significato dei dati climatici e ambientali attuali e strumentali.

 

Emanuela Guidoboni

Cambiamenti climatici e risposte sociali: per una storia culturale del clima

Una prospettiva millenaria e culturale di questo tema mette in luce le risposte umane, gli adattamenti, le difficoltà e le opportunità innescate dalle variazioni climatiche nel passato. I cambiamenti climatici, nella lunga vicenda terrestre di raffreddamenti e riscaldamenti, sono i motori di una storia che ha offerto opportunità e difficoltà da superare a un’umanità che da sempre sopravvive in situazioni che cambiano. Numerose ricerche, studi e riflessioni sul clima storico, disponibile da vari decenni, aiutano a comprendere il significato di una prospettiva di lungo periodo. L’approccio culturale a questo tema evidenzia anche i luoghi comuni secolari, come i pregiudizi e i miti sull’equilibro con la natura. La Terra è sempre stata “squilibrata” e i cambiamenti climatici hanno mostrato estremi assai rilevanti.
Si può affermare che la storia delle civiltà si è svolta in un grande trambusto climatico, trovando o non trovando vie d’uscita, pagando costi altissimi, come fame, guerre, malattie; oppure entrando in periodi di benessere, quando il clima era favorevole e le coltivazioni si espandevano in nuove terre e si aprivano nuove vie per i commerci. Queste variazioni però non hanno favorito o sfavorito tutti gli abitanti del pianeta nello stesso modo, come rilevano i dati storici sul riscaldamento medievale, i cui effetti furono molto diversi in Europa e nel sud del Mediterraneo, su cui questo intervento si soffermerà con alcune puntualizzazioni.
Prima del recente allarmismo sul riscaldamento globale c’era stato negli anni 70’ del Novecento quello sul raffreddamento globale. Occorre quindi riflettere anche sul senso di questi allarmismi e su come si riverberano nei mass-media e nella cultura diffusa.
Il tema del riscaldamento globale è complessivamente pieno di incertezze.  Diversi autori ritengono che le trasformazioni ambientali dell’ultimo milione di anni siano state determinate da cause naturali e che solo in questa nostra epoca si stia invertendo questo rapporto, per cui le trasformazioni indotte dalle attività antropiche sarebbero diventate il motore di nuovi e irreversibili cambiamenti. E’ una tesi forte, basata su problemi concreti e dati drammatici, come l’uso e l’accaparramento di risorse naturali non rigenerabili e la crescita demografica.  Questa impostazione del problema, benché non da tutti condivisa, chiama in causa in modo molto serio la conoscenza degli ecosistemi naturali e delle loro dinamiche nel tempo, le connessioni fra ambiente e attività economiche-tecnologiche, le politiche ambientali in un modello di sviluppo e infine anche gli aspetti culturali e di mentalità sulla natura.
Il tema dei cambiamenti climatici è sterminato se la scala è globale e se si assume la prospettiva di lungo periodo, ma ogni considerazione, per essere compresa, andrebbe ricondotta a un contesto specifico. La Terra è percepita nella nostra contemporaneità più piccola rispetto a quanto era sembrata alle società del passato, e anche molto più comunicante e controllabile, grazie alla tecnologia e ai mezzi di informazione. Ma è davvero possibile e utile interpretare tutta la storia del pianeta da un unico punto di vista?

 

Marco Monai

Caratteristiche ed andamento climatico nel Veneto.

  • Vengono dapprima analizzate alcune caratteristiche peculiari del clima del Veneto.
    In particolare, per quanto riguarda le precipitazioni, viene evidenziata la difformità tra la distribuzione spaziale delle precipitazioni medie annue e la localizzazione dei valori massimi assoluti degli eventi di breve durata.
    Per quanto attiene ai trend evolutivi rilevati negli ultimi 50-70 anni, si evidenzia che:
    per le temperature esiste un netto trend in aumento, confermato anche dalle variazioni delle durate delle fasi fenologiche della vite e dalla riduzione delle superfici glacializzate;
  • per le precipitazioni il trend evolutivo è invece molto meno chiaro.

Vengono infine analizzati gli andamenti meteorologici degli ultimi anni caratterizzati dalla presenza di alcuni eventi estremi.


Uscita nr. 69 del 20/10/2015