:: CULTURA  
  Epica e simbolismo nel linguaggio di Guernica
Alice Fasano
     

 

 


Nel gennaio del 1937 il governo spagnolo in esilio commissionò a Pablo Picasso una pittura murale per l’edificio che avrebbe rappresentato la nazione all’Esposizione internazionale di Parigi. Il 26 Aprile dello stesso anno la cittadina basca di Guernica fu bombardata e quasi completamente rasa al suolo dall’aviazione militare nazista. Rimasero illesi solo la Casa de Juntas, edificio storico nel quale si radunava il parlamento basco ed erano conservati gli archivi della regione, e la famosa quercia di Guernica. La tradizione vuole che sotto quest’albero maestoso i re di Spagna prestassero giuramento di rispettare i diritti democratici, ricevendo in cambio il titolo di Señor anziché quello più monarchico di Rey. Guernica non era una cittadina qualsiasi ma, nella mente di ogni spagnolo, rappresentava il baluardo dell’antica fierezza e della libertà. Questo raccapricciante episodio bellico ebbe effetti devastanti sotto molti punti di vista: per prima cosa non si trattava semplicemente di danni, ma della devastazione pressoché totale di una pacifica comunità umana. Inoltre, dato l’importante ruolo che la città basca ricopriva nella memoria nazionale spagnola, l’evento fu subito caricato di significati storici e umani. Il tema della guerra civile aveva sempre interessato Picasso, come ben si può capire osservando i due gruppi di incisioni Sogno e menzogna di Franco; ma il bombardamento di Guernica agì da catalizzatore per il suo estro creativo, diventando il soggetto della pittura murale che gli era stata commissionata diversi mesi prima. Così, appena una settimana dopo il terribile assalto, fu realizzato il primissimo schizzo per Guernica. Tuttavia l’opera finale non si presenta come il resoconto storico di tutto ciò che accadde quel tragico pomeriggio primaverile. La veduta globale del dipinto, infatti, è limitata ad un ambiente estremamente ristretto: l’angolo di una stanza e segmenti di una o due facciate. Nessun panorama sulle rovine carbonizzate della città; nessuna folla in preda al panico che fugge nel disperato tentativo di mettersi in salvo. Il tema è svolto esclusivamente grazie all’azione-reazione di nove figure, ognuna delle quali è espressione del dramma in maniera molto differente dalle altre. Questi personaggi sono: quattro donne, un bambino, la statua di un guerriero, un toro, un cavallo e un uccello. Piuttosto che l’immagine del popolo, Guernica rappresenta l’immagine dell’uomo, scisso nei vari aspetti delle sue reazioni. Protagoniste dell’azione sono le donne; l’unico uomo è poco più che un frammento, a metà tra una scultura e un essere vivente. Similmente immobile è il toro, monumento più che attore. Le donne invece urlano, spingono, fuggono e cadono. Certo è vero che nel periodo in cui si svolse l’incursione aerea Guernica era in prevalenza popolata da donne e bambini poiché molti uomini combattevano al fronte. La ragione di questa scelta, però, va ben oltre il puro interesse documentario: la prevalenza dell’elemento femminile fa di quest’opera l’immagine dell’umanità innocente, indifesa e inerme. Si tratta dunque della rappresentazione simbolica di un dramma vissuto in prima persona, provocato da una rabbia feroce che colpisce la sostanza stessa dell’animo umano come un’epidemia. In Guernica l’elemento antagonista è stato omesso: sebbene molti testimoni oculari raccontino che in pochi minuti «il cielo nereggiò di aerei germanici», nella scena manca ogni riferimento ai nemici. La composizione non è basata sul contrasto di due partiti antagonisti come nel più tardo Massacro di corea, dove i robot con i loro fucili automatici sono schierati frontalmente rispetto al gruppo delle donne. Per questo motivo il murale non ha mai costituito una presa di posizione politica. Dipingendo gli effetti di una brutalità che colpisce dal nulla e ferisce il profondo dell’anima, esso parla di sofferenza ma anche di speranza. Un’ulteriore deviazione dalla storicità dei fatti va letta nella cupa oscurità della scena. La cittadina fu bombardata in un soleggiato pomeriggio primaverile, ma le strade furono ben presto avvolte dal fumo degli incendi. Tuttavia la scelta del pittore non può essere stata dettata esclusivamente da questa ragione. Le tenebre sono state preferite alla luce del sole con il chiaro intento simbolico di comunicare un momento di lutto, di morte, di buio. Soltanto due lampade, fonti di luce artificiale, diffondono bagliori erratici che illuminano i personaggi e gli squarci degli edifici. Una di esse è attratta verso il centro della scena da una forza violenta: la modesta lampada ad olio, sospinta in avanti dalla donna che si sporge attraverso la finestra, diventa l’apice del triangolo che comprende il guerriero, il cavallo e la donna in fuga, che è al tempo stesso una piramide luminosa. Paragonata alla forza di questo piccolo lume, la grande lampada appesa al soffitto sembra del tutto inutile. Non è introdotta da alcun personaggio e la sua efficacia come fonte luminosa non è rappresentata, dato che rimane al di fuori del cono di luce. Essa acquisisce la freddezza di una volontà inefficiente, simbolo di consapevolezza distaccata, di un mondo informato ma non impegnato. L’apparente duplicazione della sorgente luminosa esprime effettivamente un contrasto significativo tra la piccola, autentica luce che illumina la scena e il potente, cieco strumento di una consapevolezza priva di coscienza morale. Guernica non rappresenta quindi un’allegoria della guerra, come spesso è stata interpretata: nel dipinto sono presenti forme e figure che acquisiscono un significato simbolico, non allegorico. Un soggetto mostruosamente deforme può identificarsi come allegoria solamente se è rappresentato in un contesto realistico di solidità materiale, come creatura significante e autosufficiente, e non in un mondo fantastico o altrettanto frammentato e deforme. Né il guerriero spezzato, né il toro, né l’uccello sono estranei all’ambiente del dipinto nel senso in cui lo è l’allegorica figura femminile che agita una bandiera nel celebre quadro di Delacroix, La libertà che guida il popolo (1830). In Guernica tutti i personaggi possiedono il medesimo status realistico poiché sono collocati in un ambiente smaterializzato in cui ogni oggetto frammenta la continuità dello spazio fisico. La statua in pezzi non avrebbe potuto assumere lo stesso ruolo del cavallo se il volume di quest’ultimo non fosse stato analogamente scomposto in frammenti secondo la tendenza cubista.
Quasi tutti i personaggi che popolano questo dipinto erano già stati rappresentati nella Minotauromachia del 1935.  Non solo, invertendo la lettura del dipinto dal lato destro verso quello sinistro si scopre che le due composizioni sono disposte in modo praticamente identico: prima il toro, poi il cavallo agonizzante con il/la combattente che brandisce un pugnale, quindi la figura femminile che solleva il lume ed infine le donne affacciate da un’alta finestra. Persino l’uccello e il fiore compaiono in entrambi i casi, e dagli schizzi preparatori risulta che Picasso avesse considerato di introdurre l’uomo che si arrampica per la scaletta a pioli anche nel lato destro di Guernica. Il confronto tra queste due opere dimostra che i soggetti di un artista possono essere indipendenti dal significato che egli attribuisce loro di volta in volta. Prendiamo ad esempio il caso del toro: questo ammirevole e temibile animale ha una lunga e nobile storia nella civiltà mediterranea. Nelle regioni agricole esso rappresenta la potenza, la fecondità e la fierezza della natura. Nei combattimenti di tori e nelle corride invece assume il ruolo di oscuro nemico, l’avversario di un eroe umano che però, indossando il cappello a due punte del torero, istituisce una misteriosa e simpatetica somiglianza con l’animale cornuto. In Guernica tutti gli sguardi sono rivolti verso il toro maestoso che domina la scena dalla destra: l’urlo della madre, come pure il viso del bimbo morto e il muso del cavallo agonizzante. Il guerriero guarda nella sua direzione e lo sostiene con le braccia tese, come una sorta di piedistallo. Una delle donne gli spinge incontro la lampada ad olio mentre quella che fugge, correndo, fissa lo sguardo verso di lui. Solamente la donna che cade sul lato destro è, nel suo isolamento, la controparte simmetrica dell’animale. Ma un dettaglio importante differenzia simbolicamente le due figure: mentre la posizione della donna, situata quasi a mezz’aria, suggerisce l’estrema mancanza di sostegno, il toro è l’unico elemento della composizione che poggia solidamente sulla verticale delle sue zampe. L’isolamento della donna che cade simboleggia la catastrofe definitiva. Il toro invece è situato al di fuori di tale catastrofe, interessato ma non coinvolto: protegge la madre disperata come un tetto ma resta inerte non perché manchi di sentimento (la sua intima passione è rivelata dalla coda in fiamme), ma perché è materialmente assente dalla scena. Quest’animale rappresenta quindi l’immagine imperturbabile della Spagna, torreggiante come la quercia di Guernica e la Casa de Juntas che rimasero intatte nonostante il bombardamento. Se il toro avesse rappresentato il nemico, il murale sarebbe risultato soltanto come un’immagine di distruzione e desolazione, come un lamento piuttosto che un appello alla speranza, alla resistenza e alla sopravvivenza. In questo modo Picasso svincola lo spettatore dalla reale cruenza dell’evento e, obbligandolo a riflettere in maniera distaccata sulla situazione, gli instilla il pensiero rinfrancante di una riabilitazione imminente.
Per quanto riguarda le caratteristiche formali, il murale è svolto esclusivamente nelle tonalità del bianco e del nero; è quindi approssimativamente monocromatico. Questa non è la necessaria conseguenza della scelta di rappresentare un momento di tenebre poiché, due anni più tardi, il pittore avrebbe dipinto la Pesca notturna ad Antibes interamente a colori. In confronto al mondo colorato della nostra esperienza quotidiana e di buona parte della pittura, la monocromia conferisce al dipinto un carattere di menomazione. Non compare il rosso del sangue, né si percepisce differenza tra il fuoco e la luce o tra la carnagione furente dei vivi e il pallore delle carni morte. L’immagine è ridotta alle pure forme espressive che sono interpretative piuttosto che narrative. Al tempo stesso la pittura monocromatica crea un’uniformità che riduce tutti gli eventi al contrasto tra luce e ombra. Nel mondo dei colori la distinzione tra luce e tenebra è solamente una lieve variazione tra molte altre; nel mondo moncromo il destino dell’oscurità rimane invariato, ma la chiarezza della luce è assoluta. Tutti gli oggetti sono dunque classificati e giudicati secondo la stessa scala cromatica, a seconda del posto che occupano rispetto al bianco e al nero, al bene e al male, alla vittoria e alla sconfitta.  Il mondo di Guernica non può suggerire quel tipo di raggruppamenti e separazioni che spesso si scoprono fondamentali nelle composizioni colorate. La distinzione tra la scena del bombardamento e il toro non è rafforzata da alcuna differenza di colore. L’uso esclusivo delle molteplici tonalità del bianco e del nero sottolinea l’unità di tutto quanto è contenuto nella pittura: le figure appartengono tutte al medesimo clan, la Spagna.
L’uniformità è ripresa nelle dimensioni del dipinto: un lungo rettangolo di 3,45 per 7,70 metri, con una proporzione di 1 a 2,2 marginalmente determinata dalla parete del padiglione spagnolo. Scegliendo questo formato, Picasso rinunciò deliberatamente alla possibilità di sfruttare l’altezza per ottenere un forte crescendo emotivo. Il toro infatti, pur dominando la scena, non è che di poco più alto rispetto alle altre figure, configurandosi piuttosto come parte integrante della composizione totale, in cui ogni elemento suggerisce un’emozione di eguale intensità. Come la monocromia, anche il formato allungato ha un effetto uniformante: fa sì che il dipinto descriva la tragedia con toni epici, non drammatici. Il pannello lungo inoltre crea una discontinuità complessiva nella scena. Se disposti verticalmente gli elementi risultano strettamente collegati tra di loro; orizzontalmente, invece, possono essere ampiamente distaccati. Dunque, all’uniformità di colore, forma, altezza e profondità spaziale, si contrappone un estendersi del dipinto nell’orizzontale, come fosse una veduta panoramica.

Nonostante questa apparente “piattezza”, la composizione di Picasso è del tutto estranea alla monotonia. L’apice del frontone costituito dalla sommità della lampada ad olio non è situato esattamente al centro del dipinto, ma leggermente verso sinistra; la posizione del grande lume appeso al soffitto sposta l’equilibrio della massa centrale ancor più sulla sinistra. Questo movimento accentua la tendenza delle figure in direzione del toro. Tuttavia ogni movimento compositivo verso sinistra va controcorrente poiché, per motivi psicologici, lo sguardo dell’osservatore procede di norma verso destra. La simmetria basilare del rettangolo pittorico è quindi contrastata da una corrente sinistrorsa che genera asimmetria e confusione. La spinta delle figure in direzione del toro è rigidamente contenuta poiché è orientata controcorrente. Se per esempio si osservasse il dipinto allo specchio, non appena destra e sinistra si trovino invertite, la scena si tramuta in una fuga precipitosa in direzione del toro. Tuttavia questa lettura costituisce una visione estremamente semplicistica: secondo la sottile concezione di Picasso il corpo del toro fronteggia le vittime ma la sua testa è distolta da esse e il suo sguardo trascende lo spazio della scena, verso l’infinito. Tutte le figure, sebbene attratte dalla potenza del toro, sono mantenute lontane da lui da un’invisibile forza che le imprigiona. La visione della salvezza, per quanto irraggiungibile, costituisce la meta cui tendono tutti i personaggi, schiavi di un obiettivo che gli è negato.

 

Uscita nr. 46 del 20/06/2013