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Durante l’estate del 1906 Picasso e la sua compagna, Fernande Olivier, passarono molto tempo in un paesino sperduto tra le alture dei Pirenei catalani. I dipinti realizzati in questo periodo sono generalmente considerati frutto di una maturità ormai compiuta e controllata, poiché in essi regna un’atmosfera contenuta, quasi classica. Ma il genio di Picasso non fu mai imbrigliato e, come si suol dire, alla quiete segue repentina la tempesta… Di ritorno a Parigi, dove trascorse i mesi invernali, l’artista si dedicò con estrema devozione allo sviluppo di un’idea, che già da mesi agitava i suoi pensieri. Diverse ispirazioni guidarono la mano di Picasso durante questi mesi di lavoro concitato, mentre disegnava e dipingeva una fitta serie di studi su figure umane, generalmente nudi. La sua attenzione si concentrò in maniera particolare sull’analisi morfologica di una testa in pietra risalente al V-III secolo a.C. rinvenuta ad Osuna, nel sud della Spagna. Il profilo sinistro è stato completamente eroso dai secoli, mentre quello destro mostra un enorme orecchio di forma molto approssimativa, un lungo naso spigoloso e grandi occhi a mandorla piuttosto sporgenti. La tela ad olio intitolata Due nudi, dell’autunno 1906, esprime una crescente tensione emotiva: due massicci corpi femminili in pose piuttosto ammiccanti, sembrano gonfiati e dilatati, tanto da trovarsi sul punto di scoppiare, come se un vetro ne comprimesse la poderosa forza pneumatica. L’uscita del celeberrimo dipinto Les Demoiselles d’Avignon, il quadro più controverso ed emblematico della storia, fu l’inevitabile esplosione che, di lì a poco, avrebbe sconvolto il mondo artistico, comportando la genesi dell’universo pittorico moderno.
Il primo studio completo per le Demoiselles è rappresentato da una sequenza di schizzi a matita disegnati presumibilmente tra le ultime settimane del 1906 e i primi mesi del 1907. Questa serie contiene molti dise gni su fogli volanti e su taccuini, tra cui lo Studio con sette figure ripassato a pastello, ora conservato al Museo d’arte di Basilea, e un piccolo olio su legno scoperto dopo l’esposizione organizzata a Parigi nel 1988 dal Musée Picasso. Questo dipinto è stato rinvenuto sotto lo strato pittorico di una natura morta del 1907, Vaso bottiglia e limone, e rappresenta un’ulteriore composizione a sette figure. In questi studi, cinque donne esibiscono il proprio nudo davanti a due personaggi maschili interamente vestiti, uno studente ed un marinaio, inizialmente identificati da alcuni attributi. Nei primi disegni l’uomo all’estrema sinistra della scena, che sembra entrare nell’ambiente scostando una leggera tenda, porta un teschio o un libro ed è per questo stato riconosciuto come “lo studente di medicina”. Con l’evolversi dell’idea, però, le due figure vestite scomparvero e i disegni diventarono composizioni di cinque nudi femminili. La scintilla che fece divampare la fiammata rivoluzionaria, fu proprio la ponderata rimozione dei personaggi maschili. Nei primi disegni era stato messo in scena un dramma concluso all’interno del quadro: i due nudi all’estrema destra guardavano trasversalmente verso il giovane studente che entrava dalla sinistra ricambiando lo sguardo, e l’attenzione delle figure centrali sembrava rivolta verso il centro, dove si trovava il marinaio. La tensione generata dai movimenti e dagli sguardi, che suggerivano l’incontro tra le figure protagoniste, si risolveva così in maniera del tutto innocua per lo spettatore, che assisteva alla promiscuità della scena nel comodo ruolo di testimone involontario. Con la scomparsa dei soggetti maschili l’attenzione del gruppo di donne non era più concentrata verso l’interno del quadro, ma si rivolgeva in maniera diretta ed esplicita all’esterno, verso lo spettatore.
Picasso mosse gli ultimi passi verso la realizzazione definitiva del suo grande progetto nei primi mesi estivi del 1907. Una serie di schizzi a matita mostra l’evoluzione formale di una testa femminile, successivamente riconosciuta in quella della ragazza accovacciata, che fu immediatamente realizzata ad olio sulla tela originale. I raggi X mostrano che quest’opera fu certamente dipinta in due fasi: l’artista realizzò il quadro prima nello stile disteso ed uniforme degli studi svolti nei mesi precedenti, tornando sul suo lavoro qualche settimana più tardi per modificare sostanzialmente tre delle cinque damigelle. La figura che entra dall’estrema sinistra scostando la tenda, la cui posa riprende esplicitamente quella che nei primi disegni era dello studente, diventò così un netto e spigoloso profilo, molto simile ad un graffito egiziano e da molti paragonato anche al personaggio di Tupupau che compare in molti dei dipinti Tahitiani di Gauguin. I volti della ragazza che si affaccia all’estrema destra e di quella accovacciata in primo piano subirono una trasformazione radicale, tanto che le due sembrano indossare deformi maschere tribali, con nasi taglienti e sconcertanti occhi asimmetrici. La testa della figura accovacciata, inoltre, è stata ruotata di 180° rispetto al suo petto e si trova ora in corrispondenza delle spalle e della schiena, creando una torsione del tutto innaturale dell’intera figura: il corpo è rivolto decisamente verso l’interno del quadro ma l’atroce sguardo della maschera è indirizzato verso lo spettatore, catturandone l’attenzione in maniera ipnotica. È ormai dato per assunto che la violenza brutale con la quale Picasso intervenne sul dipinto elaborando questi due nudi, sia stata ispirata dalla cosiddetta “Art nègre” che fece tanto discutere l’ambiente artistico parigino in quegli anni. Nonostante egli abbia sempre negato di aver subito questa influenza è chiaro che l’arte primitiva, esposta al Museo etnografico del Trocadéro, ebbe un effetto sconvolgente sulla sua sensibilità artistica.
Nell’autunno del 1907 l’opera era finita e Picasso fu lieto di mostrarla ad un pubblico ristretto, invitato ad un privatissimo vernissage nel suo studio. Il gruppetto di amici, colleghi pittori e critici che assistette a questo battesimo non fu particolarmente colpito da ciò che vide: in un piccolo ambiente delimitato da leggere cortine di velo, cinque donne nude, o quasi del tutto svestite, sono disposte intorno ad un tavolino sul quale è appoggiata della frutta. Il soggetto non stimolava interessanti riflessioni e non sembrava neanche innovativo. Basti pensare alle infinite serie di bagnanti che negli stessi anni affollavano i quadri di Matisse e Derain, alle giovani tahitiane dipinte da Gauguin e ai magistrali esempi di Ingres e di Manet. Nel magnifico olio su tela del 1863 Le déjeuner sur l'herbe, Manet mise in scena una situazione piuttosto simile. In primo piano una piccola radura in riva al fiume, dove due giovani uomini vestiti di tutto punto sono oziosamente sdraiati in  compagnia di una donna quasi del tutto nuda, che siede di profilo guardando verso lo spettatore. Più in fondo una seconda donna, coperta solamente dalla sottoveste, si rinfresca sciacquandosi nell’acqua. Un cestino da pic-nic giace riverso sopra gli abiti scombinati della donna e la frutta e il pane che conteneva sono sparsi per terra in maniera disordinata. Lo spettatore si rende immediatamente conto di aver interrotto il gruppetto in un momento di lussuria e lo sguardo della donna, che gira di scatto la testa aiutandosi con la mano come se avesse sentito qualcosa muoversi tra gli alberi, lo fa sentire un osservatore indesiderato, un curioso colto in flagrante. Il pittore volle provocare l’imbarazzo di chi guarda la scena, lanciando una sfida allo spettatore che non riesce a fronteggiare la smorfia sprezzante della donna in primo piano. Picasso si spinse molto oltre alla provocazione di uno sguardo diretto: le sue damigelle fissano sfrontatamente lo spettatore, esibendo il loro corpo in modo provocante (del tutto diverso dalla posizione raccolta della dama di Manet) per invitarlo a godere dei piaceri che possono offrirgli. Grazie alla prospettiva notevolmente ribaltata del piano dov’è appoggiata la frutta, lo spettatore si sente risucchiato nel vivo della scena, come se fosse virtualmente seduto di fronte alle ragazze all’altro capo del tavolino, diventandone il protagonista implicito. La sentenza celata dietro questo quadro è molto chiara: “Voi siete i clienti del bordello… Voi siete il soggetto della mia opera!”. Picasso volle gridare al mondo che il significato dell’arte non si cela nei dettagli di un quadro né si riflette sulle superfici perfettamente levigate di una scultura. Guardando l’opera, lo spettatore deve prendere coscienza di sé, interpretando ciò che vede secondo la propria sensibilità. Questo concetto è fondamentale per lo sviluppo di ogni forma artistica contemporanea e il ruolo delle Demoiselles come madrine di questa rivoluzione è oggi universalmente riconosciuto. Ma le invenzioni di enorme portata non sono mai interpretate come tali dai contemporanei, che preferiscono giudicare secondo canoni e convenzioni più tradizionali. Nel 1916 il quadro fu esposto pubblicamente al Salon d’Antin, come pezzo centrale della mostra organizzata da André Salmon. Nonostante il posto d’onore riservatole, la tela di Picasso fu accolta molto tiepidamente dal pubblico parigino che non riuscì a coglierne l’enorme carica rivoluzionaria. In questa occasione Salmon ribattezzò il quadro Le Demoiselles d’Avignon poiché il titolo Le Bordel philosophique, scelto dall’artista su suggerimento dell’amico Apollinaire, era un affronto alla costumatezza e insultava l’orecchio delle nobildonne parigine. Ma Picasso continuò sfrontatamente a chiamarlo mon bordel.
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