:: CULTURA  
  ANIMA GITANA. I MONDI REALI DI VIOLET TREFUSIS
Piera Melone
     

 

 

«Saša era come una volpe, o come un ulivo; come le onde del mare viste dall’alto di una scogliera; come uno smeraldo; come il sole su una collina verde ancora avvolta dalle nuvole, come niente che lui avesse visto o conosciuto in Inghilterra». Così Virginia Woolf cavalca il Blast (“raffica di vento”, ma anche “esplosione, scoppio”) modernista anglosassone, e ritrae Violet Keppel-Trefusis (1894-1972) tra le pagine di quell’Orlando [1928] che è, al contempo, biografia immaginaria e omaggio ad un comune denominatore erotico - letterario, ovvero l’amica-amante (di Violet fino al 1921, di Virginia tra il 1925 e il 1929) Victoria Sackville-West (1892-1962), raccontata dalla voce del protagonista androgino, Orlando, le cui vicende si svolgono nel corso di quattro secoli di storia.

Violet Keppel è primogenita di Alice Keppel, donna attraente e carismatica, benvoluta e ricercata nell’alta società; sposata dall’età di 22 anni con l’indulgente George Keppel, non si nega strategiche relazioni extraconiugali con i più alti rappresentanti della Belle Epoque, e diviene la  favorita di Edoardo VII, principe di Galles e futuro sovrano del Regno Unito, dal 1891 fino alla morte di lui, sopraggiunta nel 1910. Violet cresce tra East Sutton, dimora stabile della famiglia Keppel, e Ceylon, Germania, Italia, Francia; nutrita da incessanti stimoli intellettuali e circondata dallo sfarzo, educata all’insegna di una rigida, quanto contraddittoria etichetta di comportamento della quale, fin dall’adolescenza, percepisce, patendolo, uno sterile convenzionalismo, Violet scrive, dipinge, parla perfettamente quattro lingue e si prepara a conquistare la stima di artisti e intellettuali europei.

 E’ dotata di un talento, una sensibilità, un fascino incredibilmente precoci, e tuttavia, almeno fino agli anni trenta, non può vantare della fortuna e della celebrità di cui invece gode la madre; è risoluta, intransigente, passionale, ma soprattutto sconveniente e scandalosa, essendo un’omosessuale che vive sotto i riflettori delle più alte sfere della ristretta alta società edoardiana. Molto presto, nel 1904, avviene il suo primo incontro con Victoria Mary Sackville-West, che sarebbe diventata la poetessa e scrittrice meglio conosciuta come Vita Sackville-West, membro dell’influente Bloomsbury Group e ideatrice, insieme al marito, degli splendori botanici e architettonici del Castello di Sissinghurst nel Kent; anche lei appartenente ad una famiglia in vista, anche lei dominata – ma, diversamente da Violet, completamente sopraffatta – dagli imperativi categorici del bel mondo e da un’altra, grande dama edoardiana dal matrimonio molto confuso (costellato di tradimenti e contraddizioni), la madre Victoria, che non esiterà mai ad interferire nella vita turbolenta della figlia per garantirne la rispettabilità.

 A partire dal 1910, quando Violet ha sedici anni e Vita diciotto, i loro incontri si fanno sempre più frequenti, risolvendosi definitivamente in una relazione sentimentale; il matrimonio prospettato e realizzato dai Sackville-West tra Vita e Harold Nicolson (impegnato diplomatico, giornalista, membro del Parlamento, scrittore) nel 1913 rende furibonda la gelosissima Violet e ostacola, ma non ferma, l’avventura delle due ragazze che continuano a vedersi tra lunghe passeggiate, letture e i primi accenni, nel 1918, di quello che deve essere il racconto delle loro vite in forma di romanzo, Challenge [La Sfida, 1924], storia, ambientata nell’entroterra greco, dell’amore tormentato e contrastato di Julian ed Eve. Si definiscono «gipsies», gitane, libere nonostante tutto, felici, nonostante tutto; parlano tra loro lo zincali, si chiamano rispettivamente Luška e Mitya; Violet travolge la più pacata, a tratti rigida Vita, e la rende spregiudicata, imprudente, innamorata. Anche quando, ben presto, Victoria Mary si lascerà coinvolgere dalla vita coniugale  e infrangerà la promessa di fedeltà alla sua amata dando alla luce due figli, Violet, ferita, umiliata, rabbiosa, continua a tenersi stretta “Mitya”, la sommerge di lettere appassionate, la implora di fuggire con lei e di salvarla − di salvarsi − dall’ipocrisia, dal silenzio, dalla menzogna.
 Tra Vita e il marito si istaura un solido rapporto di reciproca sincerità e comprensione; lo stesso Harold – che pure avrà più d’una relazione, anche di natura omosessuale, nel corso dei 55, a loro modo felici, anni di matrimonio – procura a Violet e Vita i passaporti per la tanto agognata fuga dalla società inglese, cosicché, da novembre 1918 a marzo 1919, le due “gitane” vivono il loro idillio tra Parigi e Monte Carlo, diventano Julian (è Vita, che ama vestirsi di abiti maschili) ed Eve (Violet), passeggiano abbracciate nei boulevard, danzano nei ristoranti della capitale, vanno a teatro e provocano mormorii d’indignazione che giungono fino a Londra. Se Vita viene intimata dalla madre a ricongiungersi immediatamente con Harold, Alice Keppel risolve l’increscioso affaire annunciando alle stampe il matrimonio tra Violet e Denys Trefusis, ufficiale della Royal Horse Guards e veterano della Guerra; disperata, Luška implora Vita, ancora una volta, e fino all’ultimo, di scappare con lei, di «volare», come la fenice, e di «sciogliere questo fidanzamento grottesco» − come lo definisce in una delle lettere di quei giorni – con un uomo che la inquieta e le ispira niente altro che odio. Ma Vita non la salva, e Violet si prepara alle nozze bianche e all’incubo che la tormenterà fino alla morte di Denys, nel 1929, tra ingerenze continue della madre e liti furibonde con il marito.
  La relazione con la Sackville-West si protrae ancora, e saranno altri tormenti, altre fughe (l’ultima, epica, si conclude con Scotland Yard che cinge d’assedio l’albergo in cui si rifugiano le due donne) fino al 1921, quando il tutto viene troncato non solo dalle aristocratiche famiglie e dai mariti umiliati, ma dalla stessa Vita, che ha oramai maturato definitivamente il bisogno di mantenere intatto il suo ordine di vita sociale e familiare, pur continuando ad avere liaisons con altre donne, ma senza scoinvolgimenti di alcuna sorta.     L’epilogo amaro di un amore che per lei, creatura estrema e oltremodo profonda, è stato e sarà così presente, ricco, fantasioso, al tempo stesso devastante, porta Violet in Francia, dove si dedica  definitivamente alla scrittura.
  Poco dopo la morte del marito, nel 1929, esce il suo primo romanzo, Sortie de secours, ricco di riferimenti autobiografici come il secondo, Eco [1931], e come questo, concepito in lingua francese; dopo Tandem [1933] è la volta di Broderie Anglaise, pubblicato a Parigi nel 1935, romanzo intrigante ed ingegnoso, in cui si narra del triangolo amoroso Trefusis - Sackville-West - Woolf fornendo una variante alla versione della relazione Trefusis - Sackville-West proposta qualche anno prima da Virginia Woolf nell’Orlando.
  La sua produzione letteraria è vastissima e conta, oltre ad undici romanzi, innumerevoli poesie, saggi critici, articoli scritti tra Parigi e Firenze, dove risiede stabilmente a partire dagli anni cinquanta nella celebre Villa dell’Ombrellino, che diventa un importante riferimento per gli esponenti del mondo artistico e intellettuale del tempo. Ma il patrimonio culturale più interessante risiede proprio nella corrispondenza, e in particolare nell’imponente mole di lettere destinate a Vita Sackville-West (che ella fortunatamente non ha il coraggio di bruciare; non lo stesso, purtroppo, accade a quelle di Vita, che vengono invece eliminate da Denys), più di cinquecento, da quelle scritte a matita a quelle su carta elegante con splendide intestazioni (una raccolta scelta è stata tradotta in italiano da Tiziana Masucci per l’Archinto Editore e pubblicata con il titolo di Anime gitane nel 2007).
  C’è spirito, intensità, vitalità, disperazione, preghiera in questo epistolario, che si fa leggere come il romanzo a voce sola di un amore divorante, così estremo da parere, a tratti, un sentimento a senso unico, così ardente da bruciare, e talmente denso, selvatico, pesante da colmarsi per sé, per poi svuotarsi impetuoso sulla carta. L’assenza di Vita, spesso sfuggente, si dilata nello spazio trascendendolo, e tutto sembra risolversi in una dimensione fantastica, atemporale, mitica; Vita è Mytya, Elena di Troia, Julian, Callisto, Dioniso, e la realtà è il sogno − della Grecia, della Spagna, della Russia, della Francia, dell’Italia − concepito fra le mura che tengono Violet prigioniera di una Londra claustrofobica («Scappiamo, Mitya, questa atmosfera mi soffoca! Non c’ è da meravigliarsi se ho sempre vissuto in un mondo mio; se ho sempre preferito le favole ai fatti, le fate alle persone»). C’è poi lo spettro del registro linguistico che oscilla tra zingali, italiano, francese, tedesco, inglese colto e popolare, e che accompagna, in questa irrefrenabile corsa di parole e concetti, il richiamo primitivo, pagano, al vagabondare degli zingari, il ricorrente inno alla libertà, il rifiuto, categorico, della menzogna, la sfacciata rivendicazione della spensieratezza. Laddove tutto ciò non è possibile persiste il diritto, sacro e inalienabile, alla fuga. «Sii malvagia – urla a Vita in frasi appassionate, nell’Ottobre 1918 – sii coraggiosa, sii ebbra, sii sfrenata, sii dissoluta, sii dispotica, sii un’anarchica, sii una fanatica religiosa, sii una suffragetta, sii quello che ti pare, ma per l’amor del cielo siilo in maniera estrema. Vivi – vivi pienamente, vivi appassionatamente, vivi disastrosamente au besoin. Vivi l’intera gamma delle esperienze umane, costruisci, distruggi, costruisci di nuovo! Viviamo, tu ed io, viviamo come nessuno ha mai vissuto prima, esploriamo e investighiamo, inoltriamoci senza paura dove perfino il più intrepido ha vacillato ed è tornato indietro!». L’epistolario è un costante appello all’archetipo della bellezza, un un’unica, grande ricerca intellettuale attraverso la quale Violet trasforma, consapevolmente, il sentimento in arte, e la sessualità nel principio che la domina: «La combinazione donna artista – scrive nel 1918 – ha prodotto una mentalità di specie rara quanto sublime; un artista, sia esso un pittore, un musicista o un letterato, deve necessariamente appartenere ai due sessi, il suo giudizio è bisessuale; anzi, deve essere totalmente impersonale. Deve essere capace di porre se stesso con impunità al posto di ambedue i sessi […] che Dio mi perdoni qualora mi lasciassi passare accanto la bellezza senza riconoscerla […] la continua ricerca del nuovo è la vera essenza del genio e lo sarà sempre».  

Che si tratti della passionale Eve di Challenge, o di Anne, spirito essenziale di un mondo magico (in Boderie Anglaise) o ancora della creatura affascinante e pericolosa che irretisce Vita nella biografia della Sackville-West rielaborata (“corretta”, all’occorrenza) e pubblicata postuma dal figlio Nigel Nicolson (Portrait of a Marriage, Ritratto di un Matrimonio, 1973), la Trefusis, si direbbe, è destinata ad essere il personaggio di un romanzo, che tutto trasforma nel suo romanzo; un essere mitologico, Violet, che instancabilmente evolve, si trasforma, migra da un angolo all’altro di mondi immaginati, rigorosamente irreali, distanti il più possibile dagli ordini della necessità, così come scrive in una lettera indirizzata a Vita nel 1919: «Vivo in un mondo popolato solo dalla mia immaginazione. Vivo con persone che non hanno nulla a che spartire con i comuni mortali, un mondo che un trouvère [menestrello] medievale mezzo pazzo si sarebbe potuto inventare da ubriaco».

 
Più di tutto, ella è il racconto della sua vita, che la porta, negli anni della maturità, a conquistare, da donna carismatica e affascinante quale diventerà, quell’alta società che l’ha emarginata e che lei stessa ha rifiutato ai tempi di Alice Keppel; e tuttavia sentendo, fino all’ultimo, di essere sfuggita alla comprensione di un mondo, quello reale al quale non apparterrà mai pienamente, come scrive, in pochi versi, poco prima della sua morte a Firenze, nel 1972: «il mio cuore fu più disonorevole, più solo/ e più coraggioso di quanto il mondo abbia mai saputo».
 

 

Uscita nr. 43 del 20/03/2013