:: CULTURA  
  PICCOLO GRANDE RE
Luigi la Gloria
     

 

 

I due ritratti del Tiziano ci mostrano l’imperatore Carlo V superbo nella sua armatura dopo la battaglia di Muhlemberg e regale nella pace del suo palazzo con il cane accucciato ai suoi piedi. Tuttavia nelle testimonianze dei contemporanei e dei cronisti che egli stesso designava a redigere la sua storia, nelle sue stesse minuziosissime Memorie Carlo non appare un personaggio di particolare eccezionalità, non sembra davvero essere un’individualità superiore. Non possedeva la genialità di Pietro il Grande nè di Elisabetta d’Inghilterra, tantomeno di Federico di Prussia o di Napoleone Bonaparte. Non era neppure un legislatore al pari di Giustiniano o un tiranno alla stregua di Ivan il terribile e il suo eterno rivale Francesco I di Francia aveva molte più virtù: era affascinante, elegante, romantico nonchè cavaliere e condottiero. 
Carlo V era invece un uomo cupo ed introverso, a volte ossessivo. In lui riluceva solo la signorilità dei cavalieri di Borgogna e dei nobili fiamminghi e il suo animo rispecchiava l’orgoglio solitario degli hidalgos spagnoli conosciuti e ammirati alla corte dei nonni. Era profondamente religioso tanto da rasentare il bigottismo. Nei momenti di grande crisi interiore era solito immergersi nella quiete dei monasteri e pregare con il trasporto mistico di un vero monaco. E proprio in convento passò dolorosamente gli ultimi anni dell’esistenza e volle finire la sua vita. Pur tuttavia, coerente con sua personalità, non scelse di percorrere la strada dell’ascetismo e del misticismo, che nel secolo di santa Teresa e Sant’Ignazio di Loyola avrebbero fatto di lui l’imperatore santo. Dopo i suoi momenti di estasi religiosa non sapeva infatti resistere al richiamo degli intrighi della politica. L’Europa del suo tempo era scossa da grandi sussulti politici e religiosi: dalla Francia di Enrico II, alla Germania luterana, dall’Inghilterra del dopo Enrico VIII al mediterraneo infestato dai pirati del Gran Turco.
Carlo non fu quel che si dice un astro sfolgorante nella storia.
La sua personalità era davvero contraddittoria. Si abbandonava a eccessi smodati di sensualità e di gola, stravedeva per le carni delle donne e quelle della tavola. Tutto questo potrebbe essere anche il segno di una disordinata grandezza se non fosse che troppo spesso nei suoi comportamenti si leggevano vistosi segni di mediocrità, talento comune alla stragrande maggioranza degli uomini. E’ questo il mistero e allo stesso tempo il fascino di Carlo V.
Il figlio di Filippo il Bello e di Giovanna la Pazza avrebbe dovuto essere archiviato dalla storia tra i sovrani marginali e invece, per l’estensione dei suoi domini e per l’eccezionale ricchezza culturale e spirituale del suo tempo, fu proiettato ai massimi livelli.
Ed è proprio il particolare contesto storico nel quale si trovò a vivere che rende ragione della sua statura. Dotato di un’intelligenza pronta e di uno spiccato senso dell’equilibrio, coadiuvato da brillanti ministri e consiglieri, l’Imperatore seppe sfruttare a suo vantaggio la sorte di essere il personaggio centrale di un secolo straordinario. Il secolo di Lutero e di Erasmo di Rotterdam, di Francesco I, di Enrico VIII e di Elisabetta I, di Solimano il Magnifico, di Machiavelli e Guicciardini, di Ariosto e Rebelais, del Concilio di Trento, di Michelangelo e Raffaello, della Riforma e  della Controriforma, dell’Inquisizione  e dei Papa re, di Magellano e dei Conquistadores del nuovo Mondo. Un secolo unico e irripetibile: il Cinquecento. Il secolo che spalanca le porte alle grandi scoperte, alle grandi esplorazioni geografiche e alle ardite sperimentazioni dell’arte.
Egli fu il sovrano di due mondi, sia in senso geografico, Vecchio e Nuovo Continente, che in quello spirituale con la nuova cultura del rinascimento e la nuova religione protestante. L’Evo moderno si apriva con il presagio di decadenza dell’Europa e del Mediterraneo a fronte della crescente potenza dei nuovi mondi con le loro miniere d’oro e d’argento che rivoluzionarono il vecchio sistema di commercio e l’economia europea, che portarono ricchezza ma allo stesso tempo innescarono un processo di inflazione e un sovvertimento delle regole di mercato.
I quel tempo le realtà dei differenti contesti si trasformavano con rapidità vertiginosa.
I grandi banchieri Fugger di Augusta con la loro enorme ricchezza ebbero un ruolo determinante nell’elezione del giovane Carlo I di Spagna a imperatore, con il nome di Carlo V, e stabilirono il principio del primato dell’economia sulla politica in quell’Europa che aveva fino ad allora  rifiutato il capitalismo, dove il prestito e l’usura, fondamenti del credito e della banca moderna, erano considerati merce del demonio. Avanza nell’economia l’Europa capitalistica e borghese. E inoltre la libertà di religione e di coscienza, sancite con la pace di Augusta del 1555, vedono demolito il primato della Chiesa di Roma.
Carlo V fu incoronato imperatore nel 1519 a soli diciannove anni e quando, a cinquantasei, abdicò e si chiuse in convento l’Europa e il mondo erano radicalmente cambiati.
Questo fu il suo merito. Mai nella storia un così piccolo uomo era riuscito ad adempiere ad una così immensa missione politica e spirituale, a uniformare il mondo secondo i suoi voleri. Da questo punto di vista Carlo V, pur inferiore come carisma a quasi tutti i principi del suo tempo, si allinea invece ai grandi conquistatori e riformatori dell’umanità e al suo grande antagonista Martin Lutero.

I fatti assolutamente straordinari del suo regno furono la prodigiosa conquista del Nuovo Mondo che, con sue ricchezze, contribuì grandemente alla magnificenza del Rinascimento e l’affermazione, con vicende alterne di trionfi e sconfitte, del suo nemico giurato: il luteranesimo. Egli fu il deus ex machina del secolo più ricco di rivolgimenti e di splendori.

Per meglio capire cosa erano l’Europa e il mondo intero prima di Carlo V, e naturalmente cosa furono dopo di lui, sarà bene fare un breve excursus nella storia di quel tempo per vedere come si compì quella formidabile rivoluzione che influenzò la geografia, la storia, l’economia, il pensiero, la cultura e la fede. Colui che sembrava essere la quinta essenza della mediocrità lascerà ai posteri un universo radicalmente trasformato.
Carlo V eredita l’Europa del Sacro Romano Impero di Carlo Magno e la Spagna dei suoi nonni Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, los Reyes catolicos, che nel 1492 avevano completato la Reconquista del Paese contro i Mori. Quindi risulta naturale che il giovane Carlo, erede dell’imperatore Massimiliano, re di Spagna e di Napoli, la cui dominazione di estendeva fino ai Paesi Bassi e ai vastissimi possedimenti del Nuovo Mondo, si presenti al mondo come Defensor Fidei.
Nel momento della sua ascesa ebbe la fortuna e allo stesso tempo la sfortuna di trovarsi di fronte due re di grande levatura: Francesco I di Francia ed Enrico VIII d’Inghilterra. Questo confronto determinò, nel primo ventennio del regno, gravi difficoltà al suo governo e innescò un susseguirsi di interminabili guerre, di alleanze stipulate e subito infrante con la disinvoltura dei principi di Machiavelli; una complicatissima danza di intrighi e manovre per sfruttare paci e tregue, per consolidare posizioni che a loro volta provocavano nuove guerre. Insomma un carosello di armistizi e combattimenti, matrimoni e divorzi.
In tutto questo sullo sfondo incombeva, minacciosa e crescente, la Riforma religiosa che diventava tanto più potente nei territori dell’Impero in quanto faceva leva sull’orgoglio dei principi luterani e sul nuovo concetto di nazionalità. A questo si aggiungevano le rivolte contadine. Un ginepraio reso ancora più intricato dal prevalere, in successione nei decenni, di diverse volontà politiche come quella del ministro Mercurino Arborio di Gattinara (1465/1530) che era convinto che i destini dell’Europa si giocassero in Italia e affidava le sorti dell’Impero alle guerre nella penisola. Più tardi a imporsi furono le idee del cardinale Antoine Perrenot di Granvelle (1517/1586) che spostò il baricentro delle vicende politiche nei Paesi Bassi, in Germania e Francia. A rendere il gioco isterico e pazzesco furono poi le ambizioni del Papato, specie quando i Papi Medici anteposero gli interessi del loro casato e di Firenze a quelli del mondo e della religione e ancora le nevrosi dei principi dei piccoli Stati italiani, di cui Machiavelli dice che cambiavano continuamente attitudini e relazioni: nemici accaniti oggi grandi amici domani, capaci di amarsi e strapparsi gli occhi nel tempo di una notte. E poi l’avanzata dei Turchi in Europa. Solimano il Magnifico, il sultano che chiude la schiera dei sovrani in quell’epoca di giganti, incalzava alla porte dell’Ungheria e dell’Austria e ottenne grandi vittorie a Mhacs e a Güns per poi presentarsi minaccioso davanti a Vienna.
Se rileggessimo il Cinquecento con una visione meno eurocentrica annovereremmo Solimano tra i grandi al pari di Carlo, Francesco e di Enrico. I suoi corsari barbareschi dominavano il mediterraneo e saccheggiavano le coste dell’Italia meridionale e della Spagna, terrorizzando le popolazioni. Carlo fu l’unico principe che riuscì a fermare e a battere il Turco, compiendo due spedizioni in nord Africa di cui una si concluse con una grande vittoria, mentre l’altra, a Tunisi ed Algeri fu meno fortunata.
C’è anche da dire che il cattolico re di Francia Francesco I, in spregio a Carlo, si alleò a più riprese con i Turchi in un’alleanza innaturale tra un principe cristiano, difensore della fede, e il massimo nemico della Cristianità.
Carlo resistette a tutte queste sfide. Combatté su più fronti, spesso contemporaneamente, contro Lutero e il re di Francia, contro il Papa e il re d’Inghilterra, contro i prìncipi tedeschi e le varie leghe italiane, i rivoltosi spagnoli e il Sultano.
Carlo V lo si può definire come un europeista ante litteram, per la sua idea di un’Europa sovranazionale come un unico impero, ispirato al sogno di Enrico VII e alla Monarchia di Dante Alighieri. Alla radice di quest’idea c’erano due grandi potestà su cui si reggeva l’Impero, la Chiesa e lo Stato: istituzioni entrambe volute da Dio, che sono chiamate a governare e a guidare gli uomini incapaci a causa dell’imperfezione umana di governare se stessi. Nell’idea medievale il Papa e l’Imperatore sono, ognuno nella propria sfera, vicari del Dio onnipotente. Il Papa rappresenta il potere spirituale della Cristianità, l’Imperatore quello temporale. Ciascuno dei due trae la propria autorità dal Creatore e non è responsabile che davanti a lui.
                                             
Carlo voleva realizzare questa idea. Non vi riuscì, perché lui era un sovrano dell’Età Moderna e l’Impero apparteneva invece all’età di Mezzo. Ma proprio in questo sublime fallimento risiede il suo fascino.
Tra gli imperatori del passato quello più ricco di contraddizioni e più simile a Carlo è il nipote del Barbarossa, Federico II di Svevia, che figura nel sesto cerchio del canto decimo dell’Inferno di Dante ove sono puniti gli eretici (color che l'anima col corpo morta fanno).
Federico rimane un enigma tra i più sconcertanti della storia. Scettico, quasi ateo, parlava di Mosè e di Cristo e di Maometto come dei più grandi impostori del mondo. Ma nonostante ciò soppresse con violenza i fermenti dell’eresia catara e albigese in Linguadoca e in Germania e morì durante una marcia su Roma. Fu assolto in articulo mortis e sepolto con addosso la tonaca di un monaco cistercense. Visse a Palermo, disprezzando la Germania come un paese di barbari, soggiornandovi da vero saraceno, fruendo di un vasto harem con eunuchi, danzatrici, tutto in uno stile del mondo orientale.
Federico da un lato, miscredente e moderno in un mondo religioso e medievale, Carlo dall’altro bigotto e devoto in un mondo che si spalancava alla modernità; due facce speculari di uno stesso universo torturato dall’ansia di conoscenza.

In un mondo di brutalità, di barbarie e di guerre continue, il monastero era un luogo di grande dignità intellettuale e spirituale, fortezza e faro non solo di salvezza ma soprattutto di cultura. Furono i monaci, in particolare i Benedettini e i Cluniacensi, a salvare la civiltà occidentale e a creare l’anello di congiunzione tra la grande cultura medievale e quella rinascimentale che avanzava. I monasteri diffondevano scienza, letteratura arte e musica. Nei periodi peggiori di caos e di guerre civili i chiostri tedeschi testimoniavano una vita spirituale ardente. In tempi di imbarbarimento la fiamma mistica aveva percorso l’Europa: da Francesco d’Assisi a mastro Eckhart a Elisabetta d’Ungheria. La carità e l’umiltà erano le fonti di un impetuoso rinnovamento, introducevano nella mente dei popoli il disgusto per lo sfarzo mondano e la sensualità epicurea della Chiesa di Roma e dei Papi italiani. Questo fu il retaggio di protesta che venne totalmente assimilato dal piccolo monaco infiammato d’energia, Martin Lutero da Wittemberg.
Carlo V poté trasformare il suo tempo perché le grandi esplorazioni e le scoperte geografiche avevano reso il mondo infinitamente più ampio e intellettualmente più complesso. E a questo si aggiungeva l’estendersi senza fine della cultura rinascimentale, dalla primavera delle arti alla maturità delle scienze.
Ma fu anche un secolo di vistose contraddizioni: proprio nell’anno in cui si completa, con la costruzione dell’ospedale reale, il Santuario di San Giacomo di Compostela, meta dell’Europa della fede, avviene il primo trasporto in America di un contingente di schiavi neri dell’Africa. I Mori e gli Ebrei di Granada devono scegliere tra il battesimo e l’esilio o addirittura la morte. Eppure nel 1502 viene fondata l’università di Wittemberg, dove Lutero affiggerà le sue 95 Tesi, e la città di Siviglia risorge a nuova vita come unico porto di collegamento tra l’Europa e il Nuovo Mondo. Tra il nascere ed il tramontare del secolo il Fugger fondano il potere economico e Nostradamus quello astrale e magico. Il mondo che crede ancora nelle alchimie e nella pietra filosofale vede Colombo scoprire l’America e Magellano circumnavigare il globo. Leonardo da Vinci inventa nuove macchine da guerra e dipinge volti meravigliosi per il suo protettore Francesco I di Francia, perenne rivale di Carlo V. Muoiono Botticelli e Giorgione; si affermano Dürer e Holbein, grandi descrittori della società del tempo, crescono Raffaello e Tiziano. Nel 1511 Erasmo da Rotterdam pubblica l’immortale Elogio della follia, compendio di un’epoca. Un anno dopo, nell’assedio di Brescia, compaiono i primi archibugi a cambiare il modo di fare la guerra.

Nel 1516 Ariosto celebra nel suo capolavoro, l’Orlando Furioso, la dissoluzione del mondo cavalleresco. Nello stesso anno Machiavelli detta nel Principe la teoria politica del Rinascimento. Cadono i vecchi presupposti della fede che governavano gli uomini, la politica è fermamente distinta dalla morale e dal comportamento etico: il modello del principe dell’epoca è Ludovico il Moro o Cesare Borgia, Francesco I, Carlo V, Enrico VIII. E proprio in Inghilterra Tommaso Moro lancia il suo grido di dolore con la sua utopia. Si fanno strada i medici e i botanici, studiosi dell’anatomia umana e delle stelle del cielo, della musica delle sfere celesti. Cortez sbarca in Messico e si brucia le navi alle spalle. Tiziano realizza i ritratti dei due rivali Carlo V e Francesco I, quest’ultimo ordina a Pierre Lescot di ricostruire il Louvre. Mai tempo fu più fervido d’ingegni, più prodigo di contrasti, più armonioso e più feroce, più illuminato e più imbarbarito, più colto e più disperato. I galeoni d’oro del Nuovo Mondo, i commerci delle Fiandre e dell’Olanda, il crescere della banca moderna, il potere economico, l’etica protestante del capitalismo: tutto questo si colloca nell’età di Carlo V.
L’imperatore ebbe il merito di creare il colossale scenario politico per assecondare la fantastica crescita di questa incredibile età. Come suo nonno Massimiliano I, egli aveva in cuore di restaurare il vecchio impero universale, l’impero di Carlo Magno e, possibilmente, di renderlo ereditario per la famiglia degli Asburgo. Ma se fece della monarchia universale il sogno delle sue ambizioni, Carlo seppe anche capire lo spirito nazionale nei suoi possedimenti e non ne contrastò mai l’aspirazione autonomistica. Fu lui stesso un sovrano multinazionale nello spirito, orgoglioso con i suoi spagnoli, grave con i tedeschi, cavalleresco con i fiamminghi, colto con gli italiani.

Il clan degli Asburgo era stato legato a molti stati dell’Europa e Carlo interpretò lo spirito di una monarchia multinazionale, che fu poi quello dell’Austria fino alla dissoluzione dell’Impero nel 1919 con la disfatta della prima guerra mondiale. Carlo fu paradossalmente l’ultimo sovrano dell’Europa medioevale, il teorico della monarchia universale voluta da Dio. Fu il Signore cristianissimo di un continente mistico e cattolico, ma fu anche il re possibilista e pragmatista del dopo Lutero e del dopo Concilio di Trento. Il suo regno vide svolgersi la Riforma e la Controriforma, la scissione della Chiesa d’Inghilterra, il protestantesimo e le sanguinose guerre di religione. Il destino di Carlo non fu quello di creare un’Europa della teologia scolastica e dell’Impero universale, un’Europa dantesca, ma di presiedere alle grandi scoperte, all’evoluzione della libertà religiosa e al trionfo del Rinascimento.

 

Uscita nr. 41 del 20/01/2013