:: CULTURA | ||
IL GUSTO DELL'ORRIDO DA SENECA A TARANTINO Cesare Granati |
||
Un altro autore classico s’ispirò al lavoro di Seneca. Lucano (39 d.C.-65 d.C.) nel suo “de Bellum civile”, narrando la guerra tra Cesare e Pompeo, descrisse con veemenza la morte e il sangue sparso sul campo di battaglia. Un altro aspetto che accomuna questi due autori, se pur in opere di stampo differente, è la presenza di personaggi controversi e portatori di mali insolubili. Se nella tragedia senechea i personaggi sono ispirati a quelli del dramma greco che non dava una lezione morale rispondendo alle paure umane ma le mostrava senza chiudere il senso, lasciando allo spettatore il giudizio morale, sconvolgendo più che spiegare, usando il coro non per chiarire ma per confondere, quelli del “de Bellum civile” di Lucano sono decisamente innovativi per il genere epico. “Pharsalia”, titolo con il quale è spesso citato il poema per via del famoso verso Pharsalia nostra vivet, presenta i due personaggi principali, Cesare e Pompeo, come due uomini profondamente imperfetti. Cesare è il tiranno senza scrupoli che vuole schiacciare la democrazia aristocratica romana, Pompeo è l’ombra di se stesso, l’immagine di un vecchio combattente chiamato a un compito troppo arduo da portare a termine. Lucano però ha un paladino, Catone, integerrimo protettore della repubblica, che si toglierà la vita dopo la vittoria del tiranno. Non sappiamo se l’opera finisse con questo episodio o con la morte di Cesare alle idi di marzo, nel 44 a.C., due anni dopo il suicidio dell’Uticense. In questa sede ci interessa la difficile interpretazione dei due personaggi principali e l’uso dell’orrido per esemplificare la mostruosità della guerra tra concittadini e il decadimento dei costumi, dei mores maiorum tanto cari ai latini. Grazie agli studi sulla didattica sappiamo che tra il ‘500 e il ‘700 in Inghilterra lo studio di questi testi era assai diffuso, anzi, la lettura di queste opere era considerata fondamentale per la formazione di un uomo di cultura. L’amore per il periodo classico dei giovani di buona famiglia inglesi è dimostrato dai Grand Tour in Italia, tappa fondamentale per tutti coloro che desideravano conoscere le arti e iniziare una carriera letteraria. A noi interessa analizzare le analogie tra le opere classiche sopracitate e lo sviluppo prima del teatro elisabettiano, poi del romanzo gotico settecentesco, fonte infinita di ispirazione per la tradizione letteraria, teatrale e cinematografica successiva, tanto che è possibile riscontrare elementi comuni anche nel noir americano, nella letteratura pulp ad esso contemporanea e in alcune opere cinematografiche dei nostri giorni. Il dramma elisabettiano è caratterizzato da personaggi controversi, affetti da mali esistenziali che li portano inevitabilmente alla rovina. Il Faust di Marlow (1564-1593) e il Macbeth di Shakespeare (1564-1616) sono due personaggi rielaborati in modi diversi e da molti autori. Il patto con il diavolo e la sete di potere divorano i loro animi e nell’evoluzione del romanzo gotico, da metà settecento ai primi anni del secolo successivo, i villans (i cattivi) hanno sempre più ricalcato questo vortice diabolico, senza scampo e senza possibilità di salvezza. Nell’opera di Matthew Lewis (1775-1818), autore del celeberrimo “The Monk”, il villan, il monaco Ambrosio, combatte contro i suoi impulsi diabolici senza però riuscire a salvarsi. L’esame profondo dell’animo non porta a una redenzione ma alla consapevolezza della parte malefica del proprio io. Nel novecento lo studio dell’io e la consapevolezza dell’animo umano, come portatore di bene e male, daranno vita ad una serie di prodotti artistici tra loro legati e dipendenti l’uni dagli altri. Negli anni ‘30 del XX secolo in America nascono molte riviste dette pulp-magazine. Il termine dispregiativo pulp (poltiglia), che indica la bassa qualità della rivista, non deve ingannare. Comparirono alcuni dei racconti meglio riusciti della letteratura statunitense del secolo scorso che saranno di ispirazione per cineasti e scrittori di tutte le epoche successive. Tipico di questi racconti era un linguaggio il più possibile realistico per descrivere scene ai limiti della realtà, vicende di disumana violenza, storie di uomini affascinati dal male e pericolose femme fatales. Un linguaggio realistico per descrivere l’irreale, l’onirico, personaggi combattuti tra bene e male, donne vampiro, sono elementi propri del romanzo gotico e della letteratura ad esso collegata. La II Guerra Mondiale è stata definita la guerra civile europea, combattuta ovunque nel Vecchio Continente e da chiunque, civili, a volte loro malgrado, e militari. È stata raccontata da molti cineasti e sempre più realisticamente. Quentin Tarantino, che aveva rielaborato il genere pulp in uno dei suoi film più celebri, “Pulp Fiction” (1994), descrivendo Los Angeles come un luogo sospeso in un universo parallelo ma terribilmente reale, racconta a modo suo anche la seconda guerra mondiale. “Inglourious bastards” (2009) è un film nel quale il gusto per i particolari sadici è portato all’estremo. Buoni e cattivi odiano, soprattutto odiano. Uccidono i loro nemici con una violenza fuori dal comune, il piacere per il dolore pervade tutto il film. Le femme fatales diventano le prime alleate dei buoni, ma lo fanno senza perdere la loro essenza di cattiveria estrema, di spietatezza fascinosa tipica dei personaggi che le hanno precedute. Tutti i protagonisti, a tratti, sembrano riaffermare la loro umanità, nel senso migliore del termine, e contemporaneamente sono capaci di azioni, appunto, disumane. Un solo personaggio è assoluto. Lucano nel suo “de Bellum civile” sceglie un paladino del bene tra personaggi di dubbia natura, Tarantino l’esemplificazione del male: Adolf Hitler, l’unico personaggio del film che è del tutto e per tutto malvagio, disumano, diabolico. E quello che resta allo spettatore è la sensazione che qualunque sia il tuo scopo, mostrarsi buoni, rifiutare il male, sia il modo migliore per fallire, mentre nella carneficina finale che pone fine alla guerra possiamo tutti godere del dolore del nostro nemico. L’orrido ci spaventa, il male ci possiede e noi lettori continueremo a decretare il successo di artisti capaci di mostrarcelo, di farci spaventare suscitando in noi terrore e piacere, tanto è una finzione, o per lo meno possiamo sempre crederlo.
|
||
Uscita nr. 36 del 20/08/2012 |