:: ARCHITETTURA    
  LA “PELLE ARCHITETTONICA” DI UNA MAISON DE COMMERCE OTTOCENTESCA: PALAZZO DELLE DEBITE A PADOVA
Roberto Righetto
     
 

Nell’Ottocento vi sono numerosi esempi di architetture di parata in cui la facciata veniva concepita come quinta urbana, molto spesso scollegata dall’interno.
Molti edifici dell’eclettismo riducono la loro attenzione in maniera principale su questo elemento di confine tra interno ed esterno, la pelle architettonica. 
In altri edifici coevi invece questa attenzione all’elemento di confine viene associata al tentativo di rendere l’esterno coerente con l’interno.
Un esempio interessante di questa seconda tendenza è costituito da Palazzo delle Debite a Padova.
Il suo autore, Camillo Boito, è senz’altro una delle figure intellettuali più influenti del periodo post-unitario in Italia. Allievo del Selvatico, ha animato da protagonista il dibattito culturale della seconda metà dell’Ottocento attorno al sistema delle arti e in particolare all’architettura.
I luoghi in cui si è svolta la sua attività sono stati l’insegnamento (presso le Accademie dapprima a Venezia e per più quarant’anni a Brera), gli scritti storici e teorici, la redazione di articoli e la fondazione di riviste, la partecipazione a concorsi, sia nella veste di partecipante che di giurato, e non ultima l’attività progettuale.
I temi che lo hanno interessato sono stati numerosi: si è occupato di questioni legate ai corsi d’arte e all’insegnamento dell’architettura, è stato un precorritore del design industriale con l’attenzione rivolta alle arti applicate; può essere considerato uno dei fondatori degli studi di storia dell’architettura in Italia; ma soprattutto è ricordato come una delle maggiori autorità nel campo del restauro dei monumenti, con la teorizzazione del restauro filologico, che esigeva il rispetto delle espressioni di vario tempo sovrappostesi sul monumento (considerate di valore artistico) e la differenziazione degli apporti moderni. Ma il Boito è stato anche un architetto militante, un critico e teorico dell’architettura moderna.
Infatti, a seguito delle nuove condizioni politiche venutesi a creare con l’unità d’Italia, si sviluppa un dibattito culturale sul tema dello Stile Nazionale in architettura, in analogia a quanto succedeva per il tema della Lingua Nazionale. Una volta raggiunta l’unità politica infatti, la cultura del risorgimento si pone l’obbiettivo di dare all’Italia un’identità comune a livello culturale, pertanto anche a livello architettonico.
Boito, nello scritto “Sullo stile futuro dell’architettura in Italia”, propone di rifarsi alle tradizioni dei maestri comacini dell’architettura lombarda del Trecento, non solo per una questione stilistica, ma anche per una questione etica e concettuale. L’età dei Liberi Comuni è infatti interpretata come il periodo di maggior splendore per l’Italia, in cui non vi era il giogo dello straniero. Nelle architetture di quel periodo e di quella tradizione Boito vede i caratteri più profondi utili ad essere reimpiegati nell’architettura moderna (senza con questo eseguire una mimesi stilistica).
Per Boito il nuovo stile nazionale doveva essere improntato a semplicità; la parte organica (ovvero l’ordinamento statico e distributivo, la qualità dei materiali, in altre parole l’ossatura razionale) doveva essere intimamente legata alla parte simbolica (l’ossatura artistica che esprime la parte estetica e civile, la tensione alla bellezza e l’indole della civiltà): interno ed esterno dovevano essere in relazione, e similmente struttura e decorazione.
Nelle opere da lui realizzate più legate al senso di utilità, ovvero ove prevale l’elemento funzionale (nelle scuole, nei cimiteri, negli ospedali disegnati tra Gallarate, Padova e Milano), “il suo appello alla semplicitas trova immediato riscontro. In tutti questi casi …… il legame con il romanico è evidentissimo e sembra proiettare i principi del “nuovo stile nazionale” direttamente nelle tavole di progetto, senza nessuna altra forma di mediazione” (Zucconi).
Sempre Guido Zucconi parla di tendenza minimalista, ovvero spinta verso la riduzione al minimo della parte simbolica in alcune opere boitiane come l’Ospedale Gallaratese; la facciata esterna deve riflettere la struttura interna, e gli elementi essere massimamente riconoscibili. Anche le decorazioni  sono improntate all’utilità: i bestiari in pietra divengono qui bocchettoni per lo scolo delle acque.
Ma al contempo Zucconi individua un secondo Boito in cui la parte simbolica, quella che oggi chiameremo la pelle architettonica, prende il sopravvento con un apparato lapideo ricco di citazioni e invenzioni, in cui l’intento celebrativo viene ad avere un ruolo rilevante.
Si può individuare così uno Stile Boito basato sul “contrappunto di materiali, tra il mattone e la pietra, e di contrasti di colori tra il bruno e il chiaro del rivestimento”.

E’ questo il caso di Palazzo delle Debite a Padova, opera del 1873.
In esso il tema affrontato è quello di una maison de commerce, un edifico con negozi ai piani terra e mezzanino e residenze ai due piani soprastanti.
L’edificio viene realizzato a seguito di un concorso per la sostituzione dell’antico edificio delle prigioni dei morosi che era collegato con un passaggio aereo al Palazzo della Ragione (da qui il nome di “Palazzo delle Debite”).
Viene ad occupare un posizione chiave nel tessuto urbano, fungendo da quinta di Piazza delle Erbe e da elemento di collegamento con il sistema delle altre piazze (quelle della Frutta e quella dei Signori): a piano terra è previsto un portico sul solo lato di piazza Erbe in modo da creare un passaggio coperto di collegamento tra le due piazze.
Negli altri due lati invece l’edificio risulta privo di portico, non riprende il filo dell’edificato delle vie Manin e Fiume, e ritraendosi mette in vista il contrasto con l’edificato cui è collegato; gli angoli smussati vengono invece progettati nell’intento di rendere maggiormente visibile il monumento del salone per chi provenisse da queste strade.
Previsto a cinque piani nelle richieste del concorso, in corso d’opera viene abbassato di un metro e mezzo su richiesta del Boito; nonostante ciò l’edifico risulta fuori scala rispetto al contesto, in quanto si rapporta al solo edificio di Palazzo della Ragione: il portico ne riprende l’altezza dei grandi porticati tamponati a piano terra addossati alla sala, e il marcapiano tra primo e secondo piano riprende l’altezza del coronamento delle loggette superiori.
La pianta è chiaramente definita: un impianto a ferro di cavallo servito da due vani scala sui lati opposti, con una struttura a setti murari perpendicolari ai lati delle facciate, in corrispondenza dei quali sono poste le colonne del portico.
La scansione della facciata ne risulta di conseguenza: partendo dalla successione basamento (qui in forma di porticato)/ordini/coronamento, viene scandito in facciata l’ordine strutturale attraverso i piedritti verticali (che proseguono le sottostanti colonne) e i marcapiani orizzontali.
Ad ogni comparto così individuato viene a corrispondere un’apertura costituita da bifore, ora in forma di finestra ora in forma di portafinestra.
Questa è l’intelaiatura su cui viene costruita la facciata dell’edificio e sulla quale viene ad essere sovrapposto un apparato decorativo e stilistico (una pelle appunto) sovrabbondante e colto, ricco al contempo di citazioni ed invenzioni.
Le finestre dei piani superiori sono in entrambi gli ordini costituite da bifore; ma mentre quelle del primo ordine declinano il tema della bifora con arco sovrapposto, quelle del piano superiore si presentano come bifore semplici, facendo sì in questo modo che i chiaroscuri diminuiscano dal basso verso l’alto rendendo più consistente la massa muraria verso l’alto (in analogia al vicino Salone, ma anche a Palazzo ducale a Venezia).
Da notare inoltre come il tema della bifora con arco sovrapposto si possa ricollegare alla tradizione medievale di tante costruzioni (pensiamo alla vicina Casa di Ezzelino a Padova) ma anche come non venga utilizzata nella sua accezione strutturale in quanto qui l’arco funge da ornamento e non da arco di scarico. L’arco sovrapposto è diviso in comparti da elementi di pietra quadrata con all’interno un elemento circolare scolpito; al suo esterno una cornice in rilievo composta da tori e scozie  trova i suoi elementi terminali in una testa animale; una rosetta in pietra è posta al centro dello scomparto delimitato da quest’arco che viene infine decorato con motivi floreali tinteggiati.
Il coronamento si presenta molto elaborato e composto da tre ordini.
Quello inferiore riprende gli archetti del coronamento sottocornice del salone, ma ne viene accentuato il chiaroscuro attraverso una strombatura aggettante trilobata; il secondo ordine è costituito da una cornice aggettante sostenuta da una serie di dentelli e mensole; infine il coronamento si conclude nell’attico con una balaustra in pietra traforata interrotta da piedistallo in corrispondenza ai piedritti verticali sottostanti.
In corrispondenza ad ognuno degli angoli degli smussi viene issato sui piedistalli dell’attico un marzocco (leone che regge uno stemma).
Entrambi questi elementi simbolici, ovvero il leone e lo stemma si presentano più volte nell’apparato decorativo lapideo: oltre che negli elementi citati sono inseriti nei capitelli delle colonne e nelle chiavi di volta degli archi del portico. Alludono alla funzione civica che l’edifico deve possedere in funzione alla straordinarietà della localizzazione in cui si trova, e inoltre rispondono alle esigenze di autorappresentazione espresse dalla classe politica dirigente che commissiona l’opera.
I materiali utilizzati sono la pietra (il bianco botticino del piano terra e il calcare dei colli Euganei utilizzato per i piedritti verticali) e il mattone locale.
La pietra viene usata per dare continuità alla decorazione, come nelle finestre del piano secondo, in cui le cornici degli archi delle bifore sono legate a formare un nastro su cui poggiano delle colonnine pensili collegate al cornicione.
In molti punti poi la pietra viene modellata in forme geometriche semplici, come nelle mensole reggi-colonna poste al di sotto dei balconi al primo piano o come nella parte posteriore del coronamento in cui si possono scorgere certi giochi geometrici simili ai “doni” di Froebel introdotti dal Selvatico nel 1857 e utilizzati oltre che qui anche nel Museo del Santo sempre a Padova.
Accanto a questi compare anche il ferro che serve a definire le vetrine dei negozi e i portoni di ingresso, oltre che gli arredi e l’illuminazione del portico; elementi declinati sempre con richiami storicistici agli stilemi del passato, ma sintomo dell’interesse per le arti decorative del Boito, in un certo senso anticipatore del moderno industrial design.
Sulla griglia formata dai piedritti verticali e dai marcapiani orizzontali vengono posti i poggioli di facciata in cadenza alternata nei due piani superiori, e con diversa profondità di aggetto, determinando un gioco di chiaroscuro in cui si scorgono alcuni spunti di novità che si avvicinano allo stile floreale, come pure nel contrasto di colore dei materiali.

Il carattere esteriore (la pelle o vestito), che deriva a Palazzo delle Debite dalla mescolanza di questi elementi, è quello di un edificio borghese, ricco (ma non sovrabbondante) e colto, intessuto di valori civici, collegato al passato ma al tempo stesso aperto alla sperimentazione verso il futuro.
Tutti gli elementi sopra descritti – griglia di facciata, uso degli aggetti e delle rientranze per determinare il livello di chiaroscuro, accostamento di materiali e delle cromie, uso degli apparati decorativi e degli elementi simbolici -  sono gli strumenti in mano all’architetto dell’Ottocento per incidere sulla pelle del proprio edificio e dare ad esso il carattere desiderato, in un periodo in cui le tradizioni costruttive rimanevano sostanzialmente quelle tradizionali.

Oggi la sperimentazione sulla pelle architettonica viene compiuta con maggiore libertà, non essendoci più il vincolo di corrispondenza tra interno ed esterno dell’edificio, tra facciata e struttura.
Viene realizzata  con l’uso di nuovi strumenti e materiali, con l’impiego di elementi tecnologici quali l’illuminazione e la retroilluminazione, e sistemi meccanici che consentono il movimento di componenti dell’involucro. L’edificio pertanto non è più obbligato ad essere statico, può diventare mutevole sia nello spazio che nei colori, nelle luci, può essere traslucido, vi si possono effettuare proiezioni. Può in altre parole assumere caratteri nuovi per rispondere in maniera aggiornata ad una committenza che esprime  nuove istanze di rappresentatività.
Se ad esempio guardiamo all’opera di architetti contemporanei come Herzog & De Meuron vediamo come la loro attenzione sia rivolta notevolmente alla pelle che avvolge l’edificio.
Questo tema viene declinato di volta in volta con la massima libertà espressiva, ora in forma di foresta lignea, ora come cemento inciso o serigrafato, ora come montaggio di elementi “pop” quali possono essere le caditoie in ghisa dei pozzetti stradali o i cupolini dei lucernai (l’Allianz Arena a Monaco).
Oggi inoltre questa tendenza verrà ad assumere una sempre maggiore rilevanza anche in forza del tema della sostenibilità e del risparmio energetico, che hanno indotto una crescente attenzione sia verso le facciate ventilate che verso le pareti verdi, che costituiscono degli elementi di controllo bioclimatico, ma che offrono al tempo stesso un campo fertile di sperimentazione sul tema della pelle architettonica.

In entrambi i casi, ieri come oggi, sta all’architetto tessere una trama con i fili a propria disposizione per vestire l’edificio in base al programma a cui deve dare risposta.

 

 

Uscita nr. 04 del 20/12/2009